Riferimenti normativi
L’art. 46 del d.lgs. n. 267/2000, in tema di nomina e revoca degli incarichi assessorili, dispone che:
- comma 2: quanto agli atti di nomina degli assessori comunali, “il Sindaco e il Presidente della provincia nominano, nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi, i componenti della Giunta, tra cui un Vicesindaco e un Vicepresidente, e ne danno comunicazione al Consiglio nella prima seduta successiva alla elezione”;
- comma 4: quanto agli atti di revoca degli assessori comunali, “il Sindaco e il Presidente della provincia possono revocare uno o più assessori, dandone motivata comunicazione al Consiglio”.
La natura della revoca e le esigenze sottostanti
La revoca è un atto di alta amministrazione che non ha natura politica, in quanto sottoposto alle prescrizioni di legge ed eventualmente degli statuti e dei regolamenti.
La valutazione degli interessi coinvolti nella revoca di un assessore è rimessa in via esclusiva al Sindaco, rientrando nella piena scelta discrezionale del Sindaco l’esercizio del potere di revoca, stante il rapporto di fiducia fra il Sindaco medesimo e le persone degli assessori, destinati a collaborare con lui nell’amministrazione dell’ente locale anche come delegati, assegnati ai vari assessorati.
È stato osservato che “Spetta in particolare al Sindaco l’incombenza di valutare la sussistenza di esigenze di carattere generale, che investano anche i rapporti tra le forze politiche, quelle relative all’efficienza dell’azione amministrativa e, non ultime, quelle che investono l’indebolimento del rapporto fiduciario tra il vertice dell’amministrazione e uno degli assessori.” (TAR Lazio, sez. II, sentenza n. 11143/2022).
La non assoggettabilità alla normativa sul procedimento amministrativo
Dalla natura e dai presupposti segnalati, dunque, deriva la conseguenza che la revoca degli assessori non può essere assoggettata alle regole sostanziali e procedimentali che caratterizzano la generalità degli atti amministrativi disciplinati dalla L. n. 241/1990.
La giurisprudenza in materia
In base alla giurisprudenza consolidata l’atto di revoca dell’assessore comunale è un atto di alta amministrazione e non un atto politico, con suo conseguente assoggettamento al sindacato del Giudice amministrativo e all’obbligo di motivazione (Consiglio di Stato, sez. I, parere n. 936 del 2021 e, nello stesso senso, Consiglio di Stato, sez. I, parere n. 3161 del 2019).
In particolare, è stato precisato che “Il provvedimento di revoca dell’incarico di un singolo assessore [previsto] dall’art. 46, comma 4, del testo unico di cui al d.lgs. n. 267 del 2000 può basarsi sulle più ampie valutazioni di opportunità politico-amministrativa rimesse in via esclusiva al Sindaco, e segnatamente anche su ragioni afferenti ai rapporti politici all’interno della maggioranza consiliare e sulle sue ripercussioni sul rapporto fiduciario che deve sempre permanere tra il capo dell’amministrazione e il singolo assessore” […] “la motivazione dell’atto di revoca può anche rimandare esclusivamente a valutazioni di opportunità politica e il Sindaco ha solo l’onere formale di comunicare al Consiglio comunale la decisione di revocare un assessore, visto che è soltanto quest’ultimo organo che potrebbe opporsi, con una mozione di sfiducia, all’atto di revoca” (Consiglio di Stato, sez. I, pareri nn. 2859/2019 e 3161/2019; in termini analoghi, in precedenza, Consiglio di Stato, sez. I, pareri nn. 2743/2013 e 4970/2013).
Il controllo limitato del Giudice amministrativo
Secondo la giurisprudenza amministrativa, in materia di revoca è escluso ogni sindacato di merito, potendo il Giudice amministrativo solo sindacare la legittimità di profili formali, quali la violazione di specifiche disposizioni normative, evidenti abnormità del provvedimento sindacale o il suo carattere discriminatorio (Consiglio di Stato, sez. V, sentenze nn. 4057/2012 e 2015/2017).
In altri termini, il Giudice amministrativo non può spingersi oltre un controllo estrinseco e formale, né può tanto meno sindacare le ragioni di opportunità politico-amministrativa di un atto che non ha natura né finalità sanzionatoria, ma solo di revoca di un incarico fiduciario (Consiglio di Stato, sez. V, sentenze nn. 209/2007 e 803/2012).
Pur nei ristretti limiti giurisdizionali suddetti, tuttavia, l’atto di revoca dell’incarico assessorile, essendo un atto di alta amministrazione e come tale soggetto all’obbligo di motivazione, è sottoposto al sindacato del Giudice amministrativo nell’ambito di un controllo soltanto estrinseco e formale della motivazione della revoca che, peraltro, non è sempre di facile identificazione, come dimostra l’ampia casistica di giurisprudenza in materia.
La necessità e sufficienza di una motivazione sommaria
Proprio alla luce della giurisprudenza, se è vero che una congrua motivazione dell’atto di revoca ben può consistere nella lesione del rapporto fiduciario esistente tra il Sindaco e l’Assessore, è nondimeno vero che tale motivazione è stata giudicata sufficiente – e quindi non oltremodo sindacabile – soltanto se il Sindaco ha quantomeno sommariamente menzionato il fatto che ha innescato la suddetta lesione (TAR Lazio, sez. II, sentenza n.11143/22)
In tal senso, è stato affermato che:
- “la revoca della nomina della ricorrente è compiutamente motivata in ordine alle ragioni di natura politica che hanno fatto venir meno il rapporto di piena fiducia tra assessore e sindaco” (Consiglio di Stato, sez. I, parere n. 3161/2019);
- il “provvedimento di revoca dell’incarico di un singolo assessore … può basarsi sulle più ampie valutazioni di opportunità politico-amministrativa rimesse in via esclusiva al Sindaco, e segnatamente anche su ragioni afferenti ai rapporti politici all’interno della maggioranza consiliare e sulle sue ripercussioni sul rapporto fiduciario che deve sempre permanere tra il capo dell’amministrazione e il singolo assessore” (Consiglio di Stato, sez. I, Parere n. 936/2021).
In questo senso, la giurisprudenza ha ritenuto illegittimo l’atto di revoca di un assessore comunale che si limiti ad affermare che è venuto meno il rapporto di fiducia, non recando alcuno specifico riferimento alle ragioni per cui il Sindaco ha ritenuto di procedere alla “rimodulazione della delega assessorile”, né ad episodi, situazioni, opinioni, alla base delle richiamate “valutazioni di opportunità politico-amministrativa” e del “venir meno del rapporto di fiducia” (TAR Puglia, Bari, sez. I, n. 583 del 29 aprile 2022).
Il risarcimento del danno (non patrimoniale) in caso di revoca illegittima
Secondo la giurisprudenza, il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, è “risarcibile - sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., anche quando non sussista un fatto-reato né ricorra alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali - a tre condizioni:
1) che l’interesse leso, e non il pregiudizio sofferto, abbia rilevanza costituzionale (altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell’art. 2059 c.c., giacché qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso di essere tale, e cioè di toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile);
2) che la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità, in quanto il dovere di solidarietà, di cui all’art. 2 della Costituzione, impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza;
3) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita o alla felicità” (Consiglio di Stato, sez. IV, sentenze nn. 1957 e 1958 del 2012 e n. 4464/2013).
Pertanto, ai fini dell’accoglimento della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale non può mai coincidere con la mera illegittimità del provvedimento amministrativo.
Un recente caso all’esame della giurisprudenza
È giunto all’esame della giurisprudenza amministrativa il caso dell’atto di revoca dell’incarico assessorile di un Municipio del Comune di Roma da parte del Presidente, impugnato dall’interessato in quanto ritenuto in violazione delle disposizioni statutarie e regolamentari comunali, che estendevano agli atti di nomina/revoca degli assessori municipali lo stesso compendio di regole previste dalla legge nazionale per gli atti di nomina/revoca degli assessori comunali.
Nello specifico, l’atto di revoca faceva solo riferimento all’affievolimento del rapporto di fiducia tra il Presidente del Municipio e l’Assessore, ma senza esplicitare alcuna concreta ragione del venir meno dell’anzidetto rapporto
Nella fattispecie, il TAR Lazio, Sez. II, sentenza n. 11143 del 10 agosto 2022, facendo applicazione dei principi suddetti, ha accolto il ricorso annullando la revoca per difetto di motivazione (facendo salvo il potere del Presidente del Municipio di rideterminarsi nell’esercizio dei propri poteri autoritativi, ovviamente in ossequio al vincolo conformativo discendente dalla sentenza), ma ha escluso il risarcimento del danno non patrimoniale, in quanto basato su mere richieste in ordine ad imprecisati “riflessi sul piano della dignità, della professionalità e della personalità del ricorrente”.
Il Collegio giudicante ha ritenuto che l’atto di revoca impugnato - basato sull’unica motivazione per cui “si è affievolito il rapporto di fiducia con l’Assessore” - fosse viziato da un difetto di motivazione, sostanziatosi nell’omessa indicazione dei fatti che avevano cagionato tale affievolimento della fiducia.
In particolare, il TAR ha ritenuto insoddisfatta l’esigenza di un minimum motivazionale che desse conto dei fatti o delle “ragioni afferenti ai rapporti politici all’interno della maggioranza consiliare” che hanno incrinato il legame di fiducia, anche al fine di impedire che la lesione del vincolo fiduciario si trasformasse in una vuota formula di stile, suscettibile di utilizzi elusivi e discriminatori.
Articolo di Eugenio De Carlo