Disciplina ed evoluzione delle sue modalità di riscossione
Servizi Comunali TARIDisciplina normativa e aspetti generali
Il TEFA, acronimo di “Tributo per l’esercizio delle funzioni di tutela, protezione e igiene dell’ambiente”, noto anche come “Addizionale provinciale sulla tassa rifiuti”, è stato istituito con l’articolo 19 del D.Lgs. n. 504/1992, a fronte dell'esercizio delle funzioni amministrative di interesse provinciale riguardanti l'organizzazione dello smaltimento dei rifiuti, il rilevamento, la disciplina ed il controllo degli scarichi e delle emissioni e la tutela, difesa e valorizzazione del suolo.
Il tributo ha trovato applicazione a decorrere dal 1° gennaio 1993, quale entrata da quantificarsi annualmente.
Competenza
In via generale, la competenza del tributo è provinciale (comma 1) ma vi sono alcune eccezioni: infatti, in Friuli Venezia-Giulia il TEFA è di competenza della Regione mentre in Valle d’Aosta e nelle Province autonome di Trento e Bolzano non trova nemmeno applicazione.
Come si illustrerà con precisione nel prosieguo, il tributo in commento è strettamente legato al prelievo fiscale sui rifiuti.
Quantificazione
Per quanto attiene alla sua quantificazione, il comma 2 della disposizione normativa prevede che “Il tributo è commisurato alla superficie degli immobili assoggettata dai comuni alla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani ed è dovuto dagli stessi soggetti che, sulla base delle disposizioni vigenti, sono tenuti al pagamento della predetta tassa”.
Il comma 3, poi, prosegue, recitando che “Con delibera della giunta provinciale, da adottare entro il mese di ottobre di ciascun anno per l'anno successivo, il tributo è determinato in misura non inferiore all'1 per cento né superiore al 5 per cento delle tariffe per unità di superficie stabilite ai fini della tassa di cui al comma 2; qualora la deliberazione non sia adottata entro la predetta data la misura del tributo si applica anche per l'anno successivo”.
Di fatto, quindi, il TEFA si traduce in un aumento percentuale di quanto richiesto in bolletta per lo smaltimento dei rifiuti, di importo crescente all’aumentare dei metri quadrati dell’immobile di riferimento (escluse le aree scoperte ed i muri perimetrali), al numero dei componenti del nucleo familiare e alla destinazione d’uso dell’immobile.
Coerentemente con quanto visto sino ad ora, il comma 5 dell’art. 19 del D.Lgs. n. 504/1992 dispone che “Il tributo è liquidato e iscritto a ruolo dai Comuni contestualmente alla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e con l'osservanza delle relative norme per l'accertamento, il contenzioso, la riscossione e le sanzioni”.
Come facilmente intuibile, l’applicazione del tributo implica una stretta sinergia tra Enti diversi, ovvero tra Provincia e/o Città metropolitana (sul punto torneremo dopo), titolare del TEFA, e Comune, titolare del prelievo sui rifiuti, sia per quanto attiene l’interscambio di dati e notizie (comma 6), sia per quanto attiene la ripartizione delle entrate. Ed infatti, per quanto attiene a quest’ultimo aspetto, il comma 7 della norma in commento, sin dalla sua versione originaria, prevede che “L'ammontare del tributo, riscosso in uno alla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, previa deduzione della corrispondente quota del compenso della riscossione, è versato dal concessionario direttamente alla tesoreria della provincia nei termini e secondo le modalità previste dal D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43”, precisandosi che “Al Comune spetta una commissione, posta a carico della provincia impositrice, nella misura dello 0,30 per cento delle somme riscosse, senza importi minimi e massimi” (comma 5).
L’evoluzione normativa
A seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152/2006 (cd. Codice ambientale), il tributo in questione è stato temporaneamente abolito, per poi essere reintrodotto, circa due anni dopo, con il D.Lgs. n. 4/2008, entrato in vigore il 13 febbraio 2008.
Qualche anno dopo il Legislatore, con l’art. 14, c. 28, del decreto-legge n. 201/2011 convertito con modificazioni dalla legge 214/2011, ha confermato il TEFA, prevedendo espressamente che “E' fatta salva l'applicazione del tributo provinciale per l'esercizio delle funzioni di tutela, protezione ed igiene dell'ambiente di cui all'articolo 19 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504. Il tributo provinciale, commisurato alla superficie dei locali ed aree assoggettabili a tributo, è applicato nella misura percentuale deliberata dalla provincia sull'importo del tributo, esclusa la maggiorazione di cui al comma 13”.
Per completezza, e per riprendere quanto sopra accennato, è importante ricordare che il D.Lgs. n. 68/2011, recante disposizioni in materia di autonomia di entrata delle Regioni a statuto ordinario e delle Province, in attuazione della legge delega n. 42/2009 sul federalismo fiscale, ha ridisegnato le entrate tributarie di competenza provinciale e delle Città metropolitane. In particolare, l’art. 20[1] del predetto Decreto, nel prevedere che spettino alle Province gli altri tributi ad esse riconosciuti nei termini previsti dalla legislazione vigente che costituiscono tributi propri derivati, ha fatta salva l’applicazione del TEFA, mentre l’art. 24[2], tramite il rinvio all’art. 20, ha riconosciuto che la competenza di quest’ultima entrata spetti alle Città metropolitane.
Da ultimo, l’art. 1, c. 666, della Legge n. 147/2013 ha avuto cura di confermare l’applicazione del TEFA anche a seguito dell’entrata in vigore della TARI – disciplinata al comma 639 e seguenti della medesima disposizione normativa.
La riscossione del TEFA
L’aspetto più interessante e, al tempo stesso, più problematico del TEFA è rappresentato dalle sue modalità di riscossione, che, nel corso degli anni, sono state oggetto di notevoli cambiamenti
Secondo la disciplina originaria, ricavabile dal dettato dell’art. 19, c.7, del D.Lgs. n. 504/1992 già sopra riportato, fino al 2020, i versamenti del TEFA e della TARI o della tariffa avente natura corrispettiva, venivano effettuati cumulativamente, utilizzando esclusivamente i codici tributo relativi alla TARI o alla tariffa avente natura corrispettiva, senza distinguere la parte relativa al TEFA (cfr. risoluzioni n. 37/2013 e n. 42/2013, rinominati con le risoluzioni n. 45/2014 e n. 47/2014).
Di fatto, quindi, le somme imputabili al TEFA transitavano dal Comune per passare, poi, una volta decorso l’intero periodo di riscossione del tributo, alle effettive destinatarie, ovvero alle Province e/o alle Città metropolitane.
Gli uffici comunali che avevano in gestione le fatturazioni agli utenti (per lo più, gli Uffici Tributi ovvero gli Uffici TARI) andavano a redigere degli appositi provvedimenti (in genere, determine) che confermavano le somme effettivamente incassate e davano mandato alle Aree Economico Finanziarie di effettuare il riversamento del tributo TEFA alla Provincia e/o alla Città Metropolitana. Infine, la procedura si completava con la formulazione del relativo “mandato di pagamento” e del successivo bonifico bancario.
Come prima accennato, ad oggi l’iter della riscossione è profondamente cambiato.
In primo luogo, il sopra riportato comma 7 dell’art. 19 del D.Lgs. n. 504/1992 è stato integrato ad opera dell’art. 38-bis del D.L. n. 124/2019 convertito in L. n. 157/2019 che così ha disposto: “Nel caso di pagamenti effettuati attraverso il versamento unitario di cui all'art. 17 del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, a decorrere dal 1° giugno 2020, la struttura di gestione di cui all'art. 22, comma 3, del medesimo decreto provvede al riversamento del tributo spettante alla provincia o città metropolitana competente per territorio, al netto della commissione di cui al comma 5 del presente articolo. Salva diversa deliberazione adottata dalla provincia o dalla città metropolitana, da comunicare all'Agenzia delle entrate entro il 28 febbraio 2020, in deroga al comma 3 del presente articolo e all'art. 52 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, a decorrere dal 1° gennaio 2020, la misura del tributo di cui al presente articolo è fissata al 5 per cento del prelievo collegato al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani stabilito da ciascun comune ai sensi delle leggi vigenti in materia. Con uno o più decreti del Ministero dell'economia e delle finanze, da emanare entro il 31 maggio 2020, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali, sono stabiliti i criteri e le modalità per assicurare il sollecito riversamento del tributo anche con riferimento ai pagamenti effettuati tramite conto corrente, nonché eventuali ulteriori criteri e modalità di attuazione della disposizione di cui al primo periodo. In mancanza dell'intesa, i decreti di cui al periodo precedente sono comunque emanati purché i relativi schemi siano stati sottoposti all'esame della Conferenza Stato-città ed autonomie locali almeno trenta giorni prima dell'emanazione”.
In prima battuta, è stato, quindi, emanato il decreto MEF del 1° luglio 2020, che, all’articolo 2, ha stabilito che, a decorrere dal 1° gennaio 2020, la misura del tributo è fissata al 5% del prelievo collegato al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani come quantificato da ciascun Comune. Il decreto fa comunque salva l’applicazione di una percentuale differente, previa adozione da parte della Provincia o della Città Metropolitana di apposita delibera, che, per il 2020, andava comunicata all’Agenzia delle Entrate, mentre, per gli anni successivi, va inoltrata direttamente ai Comuni interessati, entro il 28 febbraio di ciascun anno.
Il decreto prevede altresì che, per le annualità 2021 e successive, il TEFA, e gli eventuali relativi interessi e sanzioni, siano versati dai contribuenti, secondo gli importi indicati dai Comuni, utilizzando appositi codici tributo istituiti dall’Agenzia delle Entrate.
Viene così rimesso alla struttura di gestione l’onere di provvedere al riversamento degli importi pagati con tali codici tributo, riscossi a titolo di TARI o tariffa avente natura corrispettiva e di TEFA, rispettivamente, al Comune e alla Provincia o Città metropolitana competenti secondo il codice tributo e il codice catastale indicato nel modello F24.
Per completezza, ricordiamo che il decreto in commento ha precisato che, per il 2020, a decorrere dalle ripartizioni del gettito del 1° giugno 2020, la struttura di gestione avrebbe effettuato lo scorporo del TEFA dai singoli pagamenti (compresi eventuali interessi e sanzioni) e il successivo riversamento alle Province o Città Metropolitane, applicando la misura del 5% o la diversa percentuale comunicata da tali Enti.
I nuovi codici tributo
Successivamente, in applicazione del decreto MEF del 1° luglio 2020, la risoluzione n. 5/2021 ha quindi istituito i nuovi codici tributo per il versamento del TEFA tramite F24 e F24 “enti pubblici”, ovvero:
Si precisa che i nuovi codici possono essere utilizzati anche per il versamento di quanto dovuto a seguito dell’attività di controllo.
F24 - Contribuente
In sede di compilazione del modello F24, il contribuente esporrà i nuovi codici nella sezione “Imu e altri tributi locali”, in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a debito versati”, riportando nel campo “codice ente/codice comune” il codice catastale del Comune nel cui territorio sono situati gli immobili.
Se il pagamento viene effettuato a seguito dell’adesione all’istituto del ravvedimento operoso, il contribuente dovrà barrare la casella “Ravv.”.
Il contribuente indicherà nel campo “Numero immobili” il numero degli immobili, mentre nel campo “rateazione/mese rif” il numero della rata nel formato “NNRR”, dove “NN” rappresenta il numero della rata in pagamento e “RR” indica il numero complessivo delle rate. In caso di pagamento in un’unica soluzione, il suddetto campo andrà valorizzato con “0101”.
Il contribuente indicherà nel campo “Anno di riferimento” l’anno d’imposta a cui si riferisce il pagamento, nel formato “AAAA”. Nel caso in cui sia barrata la casella “Ravv.”, dovrà indicare l’anno in cui l’imposta avrebbe dovuto essere versata.
F24 - Enti pubblici
In ipotesi di compilazione del modello F24 “Enti pubblici”, i nuovi codici andranno invece esposti nella sezione “Tares-Tari” (valore 5), in corrispondenza delle somme indicate esclusivamente nella colonna “importi a debito versati”, riportando nel campo “codice”, il codice catastale del Comune nel cui territorio sono situati gli immobili.
Nessun valore andrà inserito nel campo “estremi identificativi”,
Il campo “riferimento A” (composto da sei caratteri) andrà compilato inserendo, nei primi due caratteri, un valore a scelta tra “RA” (versamento a titolo di ravvedimento) e “00” (versamento ordinario) e, nei successivi quattro caratteri, l’anno di riferimento nel formato “AAAA”.
Il campo “riferimento B” (composto da sei caratteri), invece, andrà completato indicando, nei primi due caratteri, il numero di rata in pagamento nel formato “NN”, nei successivi due caratteri, il numero di rate totali nel formato “RR” (in caso di pagamento in un’unica soluzione si dovrà scrivere “0101”) e, negli ultimi due caratteri, il numero degli immobili a cui si riferisce il versamento (da 01 a 99).
Pagamento su PagoPA
Oltre che con modello F24, è possibile che il pagamento del tributo in esame avvenga attraverso gli strumenti di pagamento elettronici messi a disposizione dagli Enti impositori.
A tal proposito, il D.M. 21 ottobre 2020 del Ministero dell’economia e delle finanze ha definito le modalità di versamento unificato, per le annualità 2021 e seguenti, della TARI, della tariffa corrispettiva e del TEFA mediante la piattaforma PagoPA.
In considerazione di quanto stabilito da tale provvedimento, PagoPA spa ha introdotto una nuova modalità di generazione dell’avviso “multi-beneficiario” che, a fronte di un unico pagamento, comporta l’accredito pro quota delle somme ai rispettivi Enti impositori: ai Comuni, che avranno un ruolo attivo, per la TARI e alle Province/Città metropolitane, che avranno un ruolo passivo, per il TEFA.
Pertanto, i Comuni e i soggetti affidatari del servizio, dovranno emettere avvisi PagoPA multi-beneficiario TARI e TEFA, consentendo ai cittadini di effettuare un’unica disposizione di pagamento che la procedura realizzata provvederà poi ad accreditare al Comune e alla Provincia/Città metropolitana.
La Provincia/Città metropolitana, in qualità di Ente impositore del TEFA, dovrà esclusivamente comunicare ai Comuni del proprio territorio di competenza il codice IBAN per l’accredito del tributo, avendo cura di verificare che tale IBAN corrisponda ad uno di quelli censiti sulla piattaforma PagoPA.
A fronte del pagamento effettuato dall’utente, la Provincia/Città metropolitana riceverà quindi l’accredito degli importi delle somme incassate attraverso la piattaforma PagoPA e la rendicontazione analitica di tutti gli incassi TEFA per ciascun Comune e per ciascun contribuente.
Articolo di Lorella Martini
[1] Così recita il comma 1 dell’art. 20: “Salvo quanto previsto dagli articoli 17 e 18, spettano alle province gli altri tributi ad esse riconosciuti, nei termini previsti dalla legislazione vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto, che costituiscono tributi propri derivati”.
2 Così recita l’art. 24:
“(1) In attuazione dell'articolo 15 della citata legge n. 42 del 2009, alle città metropolitane sono attribuiti, a partire dalla data di insediamento dei rispettivi organi, il sistema finanziario e il patrimonio delle province soppresse a norma dell'articolo 23, comma 8, della medesima legge.
(2) Sono attribuite alle città metropolitane, con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri da adottare su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza unificata, le seguenti fonti di entrata:
a) una compartecipazione al gettito dell'IRPEF prodotto sul territorio della città metropolitana;
b) una compartecipazione alla tassa automobilistica regionale, stabilita dalla regione secondo quanto previsto dall'articolo 19, comma 2;
c) l'imposta sulle assicurazioni contro la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, esclusi i ciclomotori, conformemente a quanto previsto dall'articolo 17;
d) l'IPT, conformemente a quanto previsto dall'articolo 17;
e) i tributi di cui all'articolo 20”.
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