Finanziamento quote capitale mutui con proventi derivanti da alienazioni patrimoniali

Risposta al quesito dell'Avv. Mario Petrulli

Quesiti
di Petrulli Mario
22 Febbraio 2021

Premesso che  gli enti locali possono destinare i proventi derivanti dalle alienazioni patrimoniali per finanziare le quote capitale dei mutui o dei prestiti obbligazionari in ammortamento nell’anno o in anticipo rispetto all’originario piano di ammortamento. Tale disposizione non ha più la portata triennale (2018-2020)  che aveva nella fase iniziale, per cui gli enti possono sempre beneficiarne. Il comma 4 dell’articolo 11 bis del DL n.135/2018 ha infatti soppresso il primo periodo del comma 866 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2017, n.205: ”Per gli anni dal 2018 al 2020”. Tuttavia, non tutti gli enti possono esercitare la facoltà, ma solo quelli che rispettano tutte e tre le seguenti condizioni:

Evidenzino nel bilancio consolidato dell’esercizio precedente un rapporto tra il totale delle immobilizzazioni ed i debiti di finanziamento superiore a due;  

Non registrino in sede di bilancio di previsione incrementi della spesa corrente ripetitiva;

Siano in regola con gli accantonamenti al fondo crediti di dubbia esigibilità. 

Si formula il seguente quesito: Il comune, avendo una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, si è avvalso della facoltà di non redigere il bilancio consolidato.

Eventualmente, questo fattore può essere penalizzante per potersi avvalere della possibilità di destinare i detti proventi al rimborso dei mutui, fermo restando il rispetto degli altri due requisiti?

Risposta

Una lettura strettamente letterale della norma, basata sull’avverbio “esclusivamente”, induce a ritenere necessaria la coesistenza dei 3 requisiti, in quanto tutti insieme riescono a dimostrare la solidità dell’ente. Nel dossier di approfondimento preparato dagli Uffici Studi della Camera in occasione dell’iter di approvazione della legge (https://documenti.camera.it/leg17/dossier/pdf/ID0031gs3.pdf, pag. 104) è indicato, infatti, che “È pertanto richiesta una situazione di sostanziale solidità economico-finanziaria dell'ente locale e degli organismi ad esso riconducibili”.

La stessa Corte dei conti, in un recente intervento, ha evidenziato la necessità di una “rigorosa osservanza” della norma (cfr. sez. reg. Piemonte, delib. n. 87/2020/PRSE). Detta deliberazione, sebbene non abbia affrontato la questione dell’applicazione della norma per i piccoli comuni privi del bilancio consolidato, riguardava proprio un ente di ridotte dimensioni (Rocchetta Ligure – AL, 129 abitanti) e, ciononostante, i giudici non hanno ritenuto di evidenziare la non necessità del rispetto della prima condizione richiamata nel quesito.

Dal lato opposto, astraendosi dal dato strettamente letterale, si potrebbe anche ritenere la non necessità del primo requisito per i piccoli enti che non sono obbligati alla redazione del bilancio consolidato, per una ragione di ordine sistematico e di coerenza dell’ordinamento giuridico: l’esercizio di una legittima facoltà semplificatoria (la non redazione del bilancio consolidato per gli enti di ridotte dimensioni) non dovrebbe generare il divieto di utilizzare un ulteriore beneficio.

Tuttavia, nell’alternativa fra le due diverse opzioni (la seconda delle quali ha, indubbiamente, un profilo ed una rilevanza non secondaria), ritengo preferibile, per comprensibili ragioni di prudenza, la prima, ossia quella che si attiene alla stretta interpretazione letterale: conseguentemente, in mancanza del bilancio consolidato, la norma non possa trovare applicazione per i piccoli Comuni che, legittimamente, si avvalgono della facoltà di non redazione di tale tipologia di bilancio.

Suggerisco, infine, tenuto conto che la questione, a mio avviso, ha i necessari caratteri di generalità ed astrattezza, vertendo sulla corretta esegesi di una norma, di richiedere un parere alla competente sezione della Corte dei conti, avvalendosi della facoltà di cui all’art. 7, comma 8, della Legge n. 131/2003.

15 febbraio 2021          Mario Petrulli

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