Approfondimento di Michele Deodati

Il ripristino “filologico” tra ristrutturazione e conservazione

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di Deodati Michele
28 Gennaio 2021

Approfondimento di Michele Deodati                                                                                                       

Il ripristino “filologico” tra ristrutturazione e conservazione

 

Michele Deodati

 

Il recupero di una “masseria” a fini ricettivi

La proprietaria di un complesso immobiliare in stato di degrado un tempo riconducibile ad una antica masseria, ha presentato un progetto di recupero dello stesso. Tale  recupero era finalizzato alla realizzazione, in luogo dei diversi corpi di fabbrica e delle rovine preesistenti, di una struttura ad uso turistico-alberghiero su un’area agricola molto estesa classificata dal P.R.G. come “E1” (zone agricole produttive normali) e “E4” (parco agricolo produttivo).

A seguito del diniego emesso dal competente Comune, il privato si è rivolto al T.A.R., lamentando l’illegittimità del provvedimento sfavorevole, in quanto l’intervento di recupero era da ascrivere a mera ristrutturazione, non operando più da tempo il requisito della “fedele ricostruzione”.

 

L’appello al Consiglio di Stato: la corretta definizione di ristrutturazione edilizia

Incassata la soccombenza davanti al Tribunale, il Comune ha presentato appello al Consiglio di Stato, che con la Sentenza n. 8035 del 15 dicembre 2020 lo ha accolto.

La ricostruzione del Collegio d’appello è partita da due nozioni essenziali:

  • la definizione di ristrutturazione edilizia e la conseguente riconducibilità alla stessa di un’attività di “recupero”, inteso in senso etimologico, di un antico complesso, solo in parte ancora empiricamente percepibile, in altra invece “intuibile”, in ragione delle poche vestigia residue di crolli generalizzati dovuti all’usura del tempo;
  • le regole regionali locali finalizzate ad agevolare gli interventi di conversione in strutture ricettive di vecchi fabbricati tipici dell’antica architettura rurale della zona;

Per il Consiglio di Stato la questione va spostata dagli effetti del recupero, alla configurazione dell’immobile da recuperare in riferimento all’esistenza materiale dell’immobile, le cui cubature virtuali devono traslare nella nuova edificazione, intesa come continuativa della precedente.

 

Il “ripristino filologico”

Questa locuzione, ormai entrata nella tassonomia urbanistica, non è una categoria definita, e si riferisce al rilievo da attribuire alla fatiscenza del patrimonio edilizio preesistente nel caso di intervento su di esso e non sua una nuova costruzione. Il Consiglio di Stato, nella Sentenza n. 8035/2020, ha definito il ripristino filologico nel complesso delle attività, anche di eliminazione di volumetrie mediante abbattimento di eventuali superfetazioni, per riportare alla consistenza “storica” complessi ormai diruti, o irrimediabilmente manomessi. La giurisprudenza amministrativa sviluppatasi proprio con riferimento a tale tipologia di intervento, riconducibile a seconda dei casi a risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia, ribadisce comunque come in entrambi i casi si tratti di interventi di recupero sul patrimonio edilizio “esistente”, di cui all’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001. La loro finalità di “conservazione” postula dunque pur sempre la preesistenza di un fabbricato da ristrutturare o risanare, ossia di un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura. Il concetto di costruzione esistente presuppone a sua volta la possibilità di individuazione della stessa come identità strutturale, in modo da farla giudicare presente nella realtà materiale quale specifica entità urbanistico- edilizia esistente nella attualità, e così l’intervento edificatorio sulla stessa non rileva quale trasformazione urbanistico-edilizia del territorio in termini di nuova costruzione. Deve, cioè, trattarsi di un manufatto che, a prescindere dalla circostanza che sia abitato o abitabile, possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione. Conclude la Sentenza n. 8035 affermando che il rilascio di un titolo edilizio per procedere alla ristrutturazione è subordinato alla possibilità di individuare, in maniera pressoché certa, l’esatta cubatura e sagoma d’ingombro del fabbricato su cui intervenire.  

Sempre dall’analisi della Giurisprudenza, si evince che costituisce vera e propria costruzione ex novo e non già ristrutturazione, né tantomeno restauro o risanamento conservativo, e pertanto soggetta a concessione edilizia secondo le regole urbanistiche vigenti al momento dell’istanza del privato, la ricostruzione di un intero fabbricato, diruto da lungo tempo e del quale residuavano, al momento della presentazione dell’istanza del privato, solo piccole frazioni dei muri, di per sé inidonee a definire l’esatta volumetria della preesistenza. L’effetto ricostruttivo così perseguito mira non a conservare o, se del caso, a consolidare un edificio comunque definito nelle sue dimensioni, né alla sua demolizione e fedele ricostruzione, bensì a realizzarne uno del tutto nuovo e diverso.

26 gennaio 2021

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