Approfondimento di Vincenzo Giannotti

La Cassazione stoppa la possibile compatibilità del lavoro pubblico con quello agricolo

Servizi Comunali Incompatibilità Rapporto di lavoro
di Giannotti Vincenzo
14 Dicembre 2020

Approfondimento di Vincenzo Giannotti                                                                                                   

La Cassazione stoppa la possibile compatibilità del lavoro pubblico con quello agricolo.

Vincenzo Giannotti

La Corte di Cassazione (sentenza n.27424/2020) ha dovuto prendere una posizione diversa da quanto sino ad oggi indicato nei pareri della funzione pubblica e dei giudici amministrativi, in merito ad una possibile compatibilità tra lavoro pubblico a tempo pieno e lo svolgimento in modo modesto di imprenditore agricolo. Secondo i giudici di legittimità, il divieto assoluto sancito dall’art.60 del DPR n.3/1957, non può che essere esteso anche all’impresa agricola, con la conseguente incompatibilità da parte del dipendente pubblico a tempo pieno.

Il precedente indirizzo 

Fino ad oggi gli enti pubblici, compresi quindi anche gli enti locali, hanno seguito le indicazioni provenienti dal Dipartimento della Funzione Pubblica e del giudice amministrativo, verificando concretamente l’impegno del dipendente a tempo pieno con quello di imprenditore agricolo, lasciando alla PA la concreta verifica dell’impegno richiesto quale imprenditori agricolo al dipendente a tempo pieno ai fini autorizzato rie. Infatti, nel caso in cui un dipendente pubblico a tempo pieno richieda l’autorizzazione alla propria amministrazione per il possesso di una partita Iva quale titolare di azienda agricola a conduzione familiare, il Dipartimento della Funzione pubblica, nella circolare 6/97, ha chiarito che la partecipazione in società agricole a conduzione familiare è configurabile quale attività rientrante tra quelle compatibili solo se l’impegno richiesto è modesto e non abituale o continuato durante l’anno. In modo non diverso il giudice amministrativo, nel richiamare il medesimo parere espresso dal Dipartimento della funzione pubblica, ha evidenziato nello specifico che, in relazione all’esercizio di attività agricole, l’apertura della partita I.V.A. di per sé non è un elemento che rende incompatibile il suo esercizio, purché la stessa comporti un impegno modesto e non abituale o continuato durante l’anno (T.A.R. Basilicata, Potenza, sentenza 195/2003).

La posizione della Cassazione

Il caso ha riguardato il risarcimento dei danni richiesti da un dipendente, imprenditore agricolo a suo tempo autorizzato in quanto a tempo parziale al 50%, che ha chiesto alla propria amministrazione di riottenere il tempo pieno. Nonostante l’autorizzazione della Giunta Comunale, il responsabile del servizio non riteneva di autorizzare il passaggio a tempo pieno fino al momento in cui non avesse cessato l’attività di imprenditore agricolo. Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda del dipendente e disponeva il pagamento della differenza tra tempo pieno e tempo parziale non autorizzato. A supporto della decisione i giudici del lavoro hanno ritenuto che il comune avrebbe dovuto prima disporre il passaggio a tempo pieno e solo successivamente richiedere la cessazione dall’impresa agricola. Di contrario avviso la Corte di appello, secondo la quale a prescindere dalla modesta e non continuativa attività svolta quale imprenditore agricolo, il dipendente che richieda il tempo pieno non può svolgere altra attività di impresa, ivi inclusa quella agricola anche se di modesto impegno, essendo impossibile da parte della PA una valutazione caso per caso dell’impegno richiesto nel lavoro parallelo. La questione è giunta in Cassazione, dove il dipendente si è doluto dell’errore dei giudici di appello in quanto l’onere incombeva sul Comune di dimostrare le ragioni o le motivazioni per le quali le attività di imprenditore agricolo non avrebbero potuto essere svolte da un dipendente a tempo pieno, in considerazione dell’impegno modesto ad esso prestato da parte del dipendente. Inoltre, le attività di impresa agricolo sarebbero escluse tra quelle indicate dall'art. 60 d.P.R. n. 3/1957 e dall'art. 53 del d.lgs. n. 165/2001.

I giudici di Piazza Cavour hanno evidenziato come attualmente il regime delle incompatibilità sa disciplinato dall’art.53 del Testo unico del pubblico impiego che, a sua volta, sancisce per tutti i pubblici dipendenti (centrali e locali, privatizzati e non) l'ultravigenza nell'attuale regime dei datati artt. 60-64 del d.P.R. n. 3 del 1957.

Dalla lettura combinata e complessiva dell'art. 53 TUPI con l'art. 60 cit. deriva che si possono distinguere tre ipotesi: 1) attività assolutamente incompatibili: sono le attività inibite, che non si possono esercitare nemmeno con autorizzazione (art. 60 del d.P.R. n. 3 del 1957); 2) attività consentite: sono le attività per cui non è necessaria l'autorizzazione (indicate dall'art. 53, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001); 3) attività consentite previa autorizzazione: tutte le altre attività comprese nella sfera di applicabilità del citato art. 53 del TUPI.

Quanto alle attività assolutamente incompatibili l'art. 60 del TUPI stabilisce che: "L'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente".

In merito all’esclusione reclamata dal ricorrente delle società agricole all’interno delle disposizioni del citato articolo 60, secondo la Cassazione il ricorrente non tiene conto che la normativa del 1957 è completamente diversa da quella attuale. In realtà, l’impresa agricola non può non essere inclusa tra le imprese commerciali, essendo lo status di agricola ottenuto successivamente e come tale non sarà assoggettata al fallimento e alle altre procedure concorsuali (ex art. 2221 cod. civ.) né obbligata alla tenuta delle scritture contabili (ex art. 2136 cod. civ.). Infatti, con il d.lgs. 20 marzo 2004, n. 99 è stata prevista, all'art. 2, espressamente la 'società agricola', che deve svolgere le attività previste per il singolo imprenditore e, sebbene non sia vincolata a qualche forma societaria, deve rispettare alcuni canoni come ad esempio l'espressa qualifica nella ragione sociale o denominazione. Infine, tale tipo di società può essere costituita nella forma di società di persone (società semplici, s.n.c. o s.a.s.), società di capitali (s.r.l. o s.p.a.) e cooperativa e deve essere iscritta al Registro delle Imprese presso la Camera di Commercio.

Nel caso di specie, pertanto, quello che rileva non è la remunerazione che il dipendente ottenga da un'attività esterna ma la sussistenza di un centro di interessi alternativo all'ufficio pubblico rivestito implicante un'attività che, in quanto caratterizzata da intensità, continuità e professionalità, pregiudicando il rispetto del dovere di esclusività, potrebbe turbare la regolarità del servizio o attenuare l'indipendenza del lavoratore pubblico e conseguentemente il prestigio della p.a.

In conclusione, se il criterio guida è, dunque, l'interferenza sull'attività ordinaria del dipendente, anche la partecipazione in imprese agricole è da ritenere incompatibile con un rapporto di lavoro a tempo pieno laddove sussistano gli indicati caratteri della abitualità e professionalità, caratteri che la forma societaria prescelta fa indubbiamente presumere laddove sussistano gli indicati caratteri della abitualità e professionalità, caratteri che la forma societaria prescelta fa indubbiamente presumere.

Il ricorso del dipendente, pertanto, è stato rigettato con relativa condanna anche alle spese di giudizio.

7 dicembre 2020

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