Approfondimento di Vincenzo Giannotti

Condanna pesante per il Viminale che ha indicato dati personali errati nella relazione sullo scioglimento del Consiglio comunale.

Servizi Comunali Privacy Responsabilità amministrativa
di Giannotti Vincenzo
10 Novembre 2020

Approfondimento di Vincenzo Giannotti                                                                                         

Condanna pesante per il Viminale che ha indicato dati personali errati nella relazione sullo scioglimento del Consiglio comunale.

Vincenzo Giannotti

Pesante condanna nei confronti del Ministero dell’Interno per aver pubblicato errati dati personali ed anagrafici in una relazione contenente la proposta di scioglimento del Consiglio Comunale per infiltrazioni mafiose, cui aveva fatto seguito il relativo provvedimento presidenziale. La condanna civile per il risarcimento del danno è stata confermata in Cassazione con l’Ordinanza n.23390/2020 che ha dichiarato inammissibile il ricorso del Ministero per saltum.

La vicenda

In ragione di un evidente errore di identificazione di persona, quest’ultima ha proposto ricorso davanti al Tribunale civile chiedendo il ristoro economico per aver subito una gravissima lesione all'onore e alla reputazione per l'illegittimo ed erroneo inserimento dei propri dati personali ed anagrafici in una relazione contenente la proposta di scioglimento del Consiglio Comunale per infiltrazioni mafiose. A supporto delle proprie doglianze l’interessata, accusata di frequentare ambienti mafiosi, ha indicato la pubblicazione delle notizie errate sugli organi di stampa locali e nazionali, con grave pregiudizio per il suo onore e la sua reputazione. I riferimenti contenuti nell’informativa non potevano riguardare che altra persona, non possedendo la stessa né la qualifica di commercialista erroneamente attribuitale, né di conoscere il Sindaco o la sua consorte così come attestato nella relazione.

A propria difesa il Ministero, pur ammettendo lo scambio di persona, ha evidenziato il proprio difetto di legittimazione passiva e la legittimità delle proprie condotte per essere stata la divulgazione della relazione oggetto di un illecito attribuibile a soggetti sconosciuti. Il Tribunale nel rigettare l’eccezione di difetto di legittimazione passiva, lo ha ritenuto responsabile della mancata o inadeguata verifica delle notizie e della mancata adozione di tutte le cautele necessarie ed adeguate a garantire la riservatezza del documento, condannandolo in via equitativa alla somma di 100.000 euro.

La questione è giunta in Cassazione con ricorso intrapreso dal Ministero dell’Interno ai sensi del comma 13 dell’art.152 del d.lgs. n.196/2003 secondo cui “La sentenza non e' appellabile, ma e' ammesso il ricorso per cassazione”.     

La conferma del risarcimento

I giudici di Piazza Cavour hanno confermato la sentenza e il relativo risarcimento del danno, dichiarando inammissibile il ricorso per Cassazione invocato dal Ministero. Da una parte, infatti, il Ministero ha ritenuto prevalente la violazione della Privacy con conseguente azione di difesa in Cassazione, mentre dall’altro lato ha ritenuto, in ragione del contrasto delle decisioni del giudice di legittimità di proporre contestualmente ricorso davanti al giudice di appello, nel caso in cui la domanda azionata fosse riferita al risarcimento del danno, ovvero alla violazione dell'art. 2043 c.c. Secondo la Cassazione, non vi è alcun contrasto che prospetterebbe, in fattispecie qualificate nei termini della violazione di dati personali, la necessità del ricorso per cassazione. In altri termini, il principio, del tutto consolidato ed al quale occorre dare continuità, è quello che valorizza, per l'identificazione del mezzo di impugnazione esperibile, l'apparenza a tutela dell'affidamento della parte che, avendo introdotto una domanda qualificandone petitum e causa petendi, abbia trovato nella qualificazione del giudice di merito piena conferma.  

Precisato il mancato contrasto, per la Cassazione la sentenza del Tribunale deve essere confermata. Infatti, secondo il giudice di primo grado il Ministero ha, nel caso di specie, commesso due illeciti, il primo avuto riguardo l'acquisizione e l'archiviazione di notizie non vere o non verificate, ed il secondo per non aver dimostrato di aver adottato tutte le cautele necessarie ed adeguate a garantire la riservatezza del documento. In questo caso il Tribunale ha accertato l'esistenza del nesso di causalità tra le condotte illecite e la lesione del diritto all'identità e alla reputazione, affermando espressamente "I danni sono certamente diretta conseguenza degli illeciti come sopra accertati che assorbono anche la fattispecie di illegittima diffusione dei dati personali …". In altri termini, l’azione dispiegata è quella risarcitoria e tale da assorbire l'illegittima diffusione dei dati personali. La conseguenza è che deve risultare inammissibile il ricorso per cassazione per difetto dei presupposti di cui all'art. 152 comma 13 del D.Igs. 30/6/2003 n. 196. La statuizione in rito preclude, pertanto, l'esame dei motivi di ricorso, con relativa condanna del Ministero alle relative spese di giudizio.

8 novembre 2020 

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