Approfondimento di Vincenzo Giannotti

L’assunzione da sentenza di un dipendente a tempo determinato non è acquiescenza

Servizi Comunali Assunzione
di Giannotti Vincenzo
06 Ottobre 2020

Approfondimento di Vincenzo Giannotti                                                                                  

L’assunzione da sentenza di un dipendente a tempo determinato non è acquiescenza.

Vincenzo Giannotti

Se l’ente ottempera ad una sentenza, che imponga l’assunzione di un dipendente a tempo determinato, il solo decorso del tempo non comporta né acquiescenza, da parte dell’ente nel coltivare la sentenza di merito, né il medesimo perde l’interesse ad ottenere una decisione. Infatti, proprio per le assunzioni a tempo determinato, qualora giudicate illegittime, la normativa ha previsto un apparato sanzionatorio particolarmente incisivo, tanto che l’eventuale esito del giudizio di merito può sollevare o almeno fornire elementi all’ente per eventuali accertamenti di responsabilità. Sono queste le conclusioni cui è giunta la Cassazione (sentenza n.20251/2020) che ha riformato la sentenza della Corte di appello per avere essa dichiarato inammissibile il ricorso dell’ente, avverso la sentenza di primo grado che ha disposto il diritto del candidato ad essere assunto con contratto a tempo determinato. Nel caso di specie, i giudici di appello hanno erroneamente ritenuto non più sussistente l'interesse all'impugnazione, in presenza dell'instaurazione del contratto di impiego, nel frattempo scaduto, con conseguente cessazione della materia del contendere.

La vicenda

Il Tribunale di primo grado, nell’accogliere la domanda di un candidato per assunzione a tempo determinato, ha dichiarato il suo diritto ad essere assunto con contratto a tempo determinato, con condanna dell’ente comunale a procedere all'assunzione. La Corte di appello, adita dal comune, ha dichiarato inammissibile il ricorso in quanto, nel periodo di tempo trascorso, il dipendente aveva terminato il proprio contratto, venendo così meno l'interesse del comune all'impugnazione, e di conseguenza, l'instaurazione del contratto di impiego ha di fatto determinato la cessazione della materia del contendere. Contro la decisione della Corte di appello ha presentato ricorso in Cassazione il comune, motivando l’interesse ad ottenere una decisione, in quanto l’assunzione è stata disposta a solo fine di evitare l'esecuzione forzata, in ottemperanza di una sentenza munita di formula esecutiva. Nel caso di specie, quindi, non poteva essere considerata acquiescenza l’assunzione disposta, avendo il comune interesse a conoscere nel merito la corretta interpretazione dell'art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 e sui limiti posti all'impiego del lavoratore a termine.

La decisione della Cassazione

Per i giudici di piazza Cavour il ricorso del comune è fondato. Ha errato, infatti, la Corte d'appello nell'affermare che, l'avvenuta instaurazione del rapporto a tempo determinato, disposta in ottemperanza al comando giudiziale, abbia fatto venir meno l'interesse all'impugnazione avverso la decisione di prime cure in quanto, nelle more del giudizio d'appello, il termine finale era spirato e nessuna utilità il Comune avrebbe potuto trarre dalla riforma della pronuncia. Nel caso di specie, il Comune ha inteso impedire il passaggio in giudicato della decisione a lui sfavorevole, in quanto nell'impiego pubblico contrattualizzato la «prestazione di fatto con violazione di legge» non può essere equiparata in modo identico al rapporto di impiego legittimamente costituito, posto che si è in presenza di un rapporto nullo, sia pure produttivo, a tutela del prestatore, di limitati effetti a fini retributivi e contributivi. Inoltre, non possono non essere evidenziate le conseguenze in caso di violazione, delle disposizioni di cui all'art. 36 del d.lgs. 165/01, le quali, oltre a sancire la nullità dei rapporti instaurati, in violazione di disposizioni imperative, hanno previsto la responsabilità dei dirigenti, con relativo obbligo di recuperare dagli stessi le somme corrisposte al dipendente assunto, in aggiunta all’apprezzamento della valutazione del suo operato. La Cassazione, infine, ha stigmatizzato come, l'irripetibilità della prestazione eseguita, in ottemperanza alla sentenza di primo grado, provvisoriamente esecutiva, non può essere ritenuta causa di inammissibilità dell'impugnazione per sopravvenuta carenza di interesse, perché ciò equivarrebbe ad introdurre una forma di inoppugnabilità della decisione non prevista dal codice di rito. Il ricorso, pertanto, deve essere accolto con rinvio alla Corte di appello, in diversa composizione, per la decisione nel merito.  

30 settembre 2020

 

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