Correzione sesso Indicato nell'attestazione di parto

Risposta al quesito del Dott. Pietro Rizzo

Quesiti
di Rizzo Pietro
05 Ottobre 2020

Settimana scorsa abbiamo ricevuto regolare denuncia di nascita di una bambina, con allegata attestazione di parto indicante il sesso del bambino come FEMMINILE. I genitori ci avevano anticipato che comunque avrebbero fatto fare delle ulteriori analisi al San Raffaele perché c'erano dei dubbi riguardo al sesso, non visibili all'apparenza. Adesso mi chiama la mamma dicendo che il bambino, dalle analisi effettuate, risulta essere dalla nascita di sesso MASCHILE. Come fare per sistemare l’atto? Non si tratta di errore materiale in quanto l'attestazione riportava "sesso Femminile". Secondo me i genitori dovrebbero fare una richiesta di rettifica art. 95 alla Procura della Repubblica allegando la certificazione medica che attesti che il bambino è di sesso maschile dalla nascita e dovrebbero anche chiedere la rettifica del nome, indicando un nome maschile da dare al bambino. E corretto?

 

Risposta

Il sesso, in quanto elemento che più identifica l’identità di una persona, deve sempre essere indicato nell’atto di nascita  (art. 30 del DPR 3 novembre 2000, n. 396).                                                                                                                            Può capitare, però, che la diagnosi clinica di tale attributo si riveli incerta a causa della presenza, nello stesso soggetto, di caratteri sessuali sia maschili che  femminili.

Vi sono una serie di condizioni tra loro eterogenee, accomunate dal dato indefettibile dell’ambiguità, più o meno marcata, degli organi sessuali, tale da rendere impossibile una sicura ascrizione dell’individuo all’uno o all’altro sesso.

In caso di incertezza, pertanto, si dovrà indicare il sesso ritenuto “prevalente”, spesso con una modalità di accertamento alquanto sommaria e, quindi, potenzialmente errata.

A differenza di quanto previsto in alcuni sistemi giuridici stranieri, tra cui quello francese, la normativa italiana in materia di stato civile non consente di apporre nell’atto di nascita un’indicazione del sesso neutra o, quantomeno, provvisoria.

 Nel caso in cui si accerti che vi è un’identità` di genere opposta rispetto a quella «legale», assegnata al momento della nascita, diviene necessario “correggere”  il sesso registrato allo stato civile.

Pertanto, è stata riscontrata dalla dottrina la necessità di individuare quale sia l’azione da esperire al fine di ottenere un simile risultato: e ciò tanto più che non vi è un pacifico orientamento giurisprudenziale.

In sede applicativa, si assiste all’alternanza di tre differenti orientamenti:

  1. da una parte viene ritenuto applicabile, anche ai soggetti intersessuali, il procedimento speciale disciplinato dalla l. 164/1982 e dall’art. 31 d.lgs. 150/2011, rubricati, rispettivamente, come «norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso» e «delle controversie in materia di rettificazione di attribuzione di sesso»;
  2. si riscontrano pronunce di segno diverso, in cui questa fattispecie viene fatta convogliare nel procedimento generale di rettificazione degli atti di stato civile, disciplinato dall’art. 95 D.P.R. 396/2000, il quale a sua volta rinvia all’art.  737 e seguenti del codice di procedura civile;
  3. parte della giurisprudenza ritiene necessario esperire un’azione di status, nelle forme e secondo le modalità del rito ordinario di cognizione, disciplinato dall’art.163 e seguenti del codice di procedura civile.  

La distinzione tra ciascuna di queste opzioni riguarda non solo la natura dell’atto introduttivo del giudizio e del rito, ma ulteriori e delicati profili, quali la competenza territoriale, l’efficacia e la stabilità della pronuncia, i poteri del giudice, l’oggetto e i limiti dell’istruzione probatoria.
Nell’ambito delle tre ipotesi l’orientamento dottrinario dominante, e che pertanto si suggerisce di seguire,  ritiene che  si possa promuovere l’azione di rettificazione prevista dall’art. 95 D.P.R. 396/2000 soltanto allorché si intenda correggere un atto di stato civile a causa di un vizio nel procedimento di formazione del medesimo, dovuto a un errore in cui sia incorso l’Ufficiale di stato civile o il denunciante.
Il caso del soggetto intersessuale interessato a modificare il «sesso» e «nome» legali risulterebbe, in questo senso, analogo, atteso che indubbiamente vi è stato, al momento della dichiarazione di nascita, un errore non riconoscibile dovuto ad un’incertezza ab initio sul sesso del neonato.
Tale assunto trova conferma altresì nell’analisi di quanto sostenuto dalla migliore dottrina processualcivilistica, che ha ritenuto che lo scopo ultimo dell’azione di rettificazione sia quello di accertare che un fatto documentato negli atti di stato civile non corrisponde alla realtà materiale, e quindi di dichiarare che l’atto di stato civile contiene, a tutti gli effetti, un’informazione falsa.
L’azione di rettificazione mirerebbe ad accertare una mera situazione di fatto – l’essere maschio o femmina – e, conseguentemente, a correggere l’eventuale discrasia tra quanto attestato nel registro di stato civile e la realtà materiale.
La Corte di cassazione, superata la tesi restrittiva in base alla quale il giudizio di rettificazione sarebbe esperibile soltanto nei limitati casi di lapsus calami in cui sia incorso l’Ufficiale di stato civile nella redazione dell’atto (e quindi, di fatto, per la correzione di un mero errore ortografico), afferma pacificamente che il procedimento di rettificazione possa «essere promosso per la eliminazione di ogni ipotesi di difformità fra la realtà effettiva, alla stregua della normativa vigente, e quella riprodotta negli atti stessi, indipendentemente dalla ragione di tale difformità e dal soggetto che l’abbia causato».
Anche alla luce di questi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, si ritiene che il procedimento di rettificazione degli atti di stato civile è quello che si deve esperire per la rettificazione dell’indicazione del prenome e del sesso nell’atto di nascita,  perché, come confermato da una parte della giurisprudenza che si è espressa su questa specifica fattispecie, esso tende «alla riparazione di irregolarità occorse nella redazione degli atti di stato civile», tra le quali deve essere ricompresa l’«erronea indicazione del sesso» di un soggetto intersessuale, atteso che, da ultimo, «la rettificazione non tocca l’essenza dell’atto e invariato, quindi, resta, lo stato della persona alla quale si riferisce».
Il procedimento di rettificazione degli atti di stato civile previsto dagli artt. 95 ss. D.P.R. 395/ 2000, salvo alcune deroghe espressamente sancite – tra le quali quella relativa alla competenza territoriale, dovendo essere proposto il ricorso ex art. 125 c.p.c. presso il Tribunale nel cui circondario si trova l’ufficio di stato civile presso il quale è registrato l’atto di nascita –, rinvia alla disciplina del rito camerale previsto dagli articoli  737 e seguenti del codice di procedura civile.
Per quel che concerne la legittimazione attiva, questa competerà al soggetto,  eventualmente rappresentato, se minore di età come nel caso in questione, dai suoi genitori, in qualità di rappresentanti legali ex art. 70 c.p.c..
Ipotesi diversa e con diversi presupposti è quella del procedimento, di natura amministrativa, disciplinato dall’art. 98 del D.P.R. 396/2000, rubricato «correzioni», in base al quale «l’Ufficiale dello stato civile, d’ufficio o su istanza di chiunque ne abbia interesse, corregge gli errori materiali di scrittura in cui egli sia incorso nella redazione degli atti».
Tale procedura sarà possibile, come risulta chiaramente in base al tenore letterale della norma, soltanto laddove si versi in ipotesi del tutto estranee rispetto a quelle di cui si è trattato sinora, ovvero nel caso in cui vi sia stata una «svista» palese da parte di chi ha redatto o trascritto l’atto di nascita, in presenza di un sesso certo e determinato; ad esempio nel caso in cui sia stato trascritto un atto di nascita formato all’estero, in cui fosse indicato un prenome ambiguo, erroneamente tradotto o interpretato dall’Ufficiale di stato civile oppure all’errore materiale causato dalla dichiarazione del denunciante di un nome neutro, come  Andrea, Elia, o di un nome straniero.
Secondo quanto indicato nel  Massimario per l’Ufficiale di stato civile - edizione 2012 - per quanto concerne il nuovo nome da assumere a seguito della pronuncia di rettificazione di attribuzione di sesso, qualora tale cambiamento non sia stato statuito nella sentenza (come di prassi avviene), né da parte dell’interessato sia stata avanzata una esplicita richiesta di rettificazione del nome in concomitanza dell’istanza presentata di rettifica del sesso, l’Ufficiale dello stato civile potrà disporre il cambiamento del nome originario mutandolo, ove possibile, con quello corrispondente al sesso acquisito.
Diversamente, l’interessato potrà attivare la procedura di cambiamento del nome ai sensi dell’art. 89 del D.P.R. 396/2000, come modificato dal D.P.R. n.54/2012, qualora desideri portarne un altro.
28 settembre 2020              Pietro Rizzo

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