Approfondimento di Pietro Alessio Palumbo

Criticità della disciplina sulla inconferibilità e incompatibilità degli incarichi - Parte 2

Servizi Comunali Incompatibilità Inconferibilità
di Palumbo Pietro Alessio
18 Giugno 2020

Approfondimento di Pietro Alessio Palumbo                                                                        

Criticità della disciplina sulla inconferibilità e incompatibilità degli incarichi

Pietro Alessio Palumbo

 

Le sanzioni

Circa il regime sanzionatorio il primo problema che si pone con riferimento all’applicazione delle sanzioni previste dalla disposizione in analisi è quello dell’individuazione dell’organo o dell’autorità compente non solo ad accertare la violazione del divieto di pantouflage, ma anche a comminare le sanzioni previste.

Ebbene in materia l’Autorità anticorruzione ha sempre ritenuto di poter svolgere sia attività consultiva, che attività di vigilanza ai sensi dell’art. 16 d.lgs. 39/2013.

Segnatamente, con riguardo al potere di vigilanza in materia di violazione dell’art. 53, comma 16-ter, D.Lgs. 165/2001, l’Autorità ne ha sostenuto la titolarità in forza dell’inserimento nel D.Lgs. 39/2013 dell’art. 21 dedicato appunto all’applicazione di tale disposizione.

L’estensione del potere di vigilanza dell’Autorità anticorruzione ha dato luogo a un contenzioso giudiziale (pendente) avente ad oggetto la Delibera n. 207/2018 con la quale l’Autorità stessa ha accertato la violazione dell’art. 53, comma 16-ter, D.Lgs. 165/2001, pur rilevando la sussistenza di un vuoto normativo sull’individuazione dell’autorità competente a garantire l’esecuzione delle conseguenze sanzionatorie ivi previste e la conseguente incompetenza di ANAC al compimento degli atti derivanti dall’accertamento compiuto.

Il TAR Lazio, con la sentenza n. 11494/2018 ha annullato la suddetta delibera, ritenendo che l’unico ambito di intervento che il legislatore ha riconosciuto all’ANAC per intervenire nell’applicazione dell’art. 53, comma 16 ter in relazione a soggetti non riconducibili alla p.a. è quello circoscritto all’adozione di pareri facoltativi in materia di autorizzazioni allo svolgimento di incarichi esterni.

La decisione TAR è stata ribaltata dal Consiglio di Stato, il quale, con la sentenza n. 7411/2019 ha riconosciuto che l’autorità competente a garantire l’esecuzione delle conseguenze sanzionatorie previste dall’art. 53, comma 16-ter, D.Lgs. 165/2001 deve essere individuata proprio in ANAC, in ragione del richiamo della citata disposizione da parte dell’art. 21 D.Lgs. 39/2013 e nell’ambito del più generale potere di vigilanza in materia di inconferibilità e incompatibilità alla stessa attribuito dal precedente art. 16.

Ciò in quanto, ha chiarito Palazzo Spada, sussistendo un chiaro nesso finalistico fra la norma assistita dalla sanzione amministrativa e le funzioni attribuite all’ANAC, non può che ascriversi all’Autorità il compito di assicurare, in sede di accertamento della nullità dei contratti sottoscritti dalle parti e di adozione delle misure conseguenti, la tutela dei valori trasparenza ed integrità delle amministrazioni pubbliche.

Nella sentenza il Giudice ha ritenuto auspicabile in via generale che le norme limitative della capacità lavorativa siano formulate nel rispetto del principio della tassatività della fattispecie, anche con riferimento all’autorità preposta al controllo o anche solo alla vigilanza.

Ebbene al riguardo ANAC concorda con le conclusioni cui è addivenuto il Consiglio di Stato e sottolinea la necessità di un intervento normativo urgente che identifichi in maniera univoca il soggetto preposto a garantire l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 53, comma 16-ter, d.lgs. 165/2001.

Inoltre l’ANAC evidenzia la necessità di precisare e rendere più organica la disciplina delle tipologie di dipendenti sottoposte al divieto.

Secondo l’orientamento dell’Autorità, i dipendenti che esercitano poteri autoritativi e negoziali sono tutti quei soggetti che esercitano in concreto tali poteri tramite l’adozione di provvedimenti amministrativi e il perfezionamento di negozi giuridici mediante la stipula di contratti in rappresentanza giuridica ed economica dell’ente.

L’Autorità ritiene infatti di ricomprendere in tale ambito anche, altre tipologie di soggetti come le figure dei dirigenti e dei funzionari che svolgono incarichi dirigenziali, coloro che esercitano funzioni apicali o a cui sono conferite apposite deleghe di rappresentanza all’esterno dell’ente.

Inoltre, tra le situazioni lavorative cui si applica il divieto, l’Autorità ritiene di dover ricomprendere anche le situazioni che possono configurare anche in capo al dipendente il potere di incidere in maniera determinante sulla decisione oggetto del provvedimento finale, come la collaborazione all’istruttoria, l’elaborazione di atti endoprocedimentali obbligatori, che vincolano in modo significativo il contenuto della decisione.

In tale prospettiva il divieto di pantouflage si applica non solo al soggetto che ha firmato l’atto, o che sia ad esso sovraordinato, ma anche a coloro che hanno partecipato al procedimento istruttorio.

È dunque auspicabile per ANAC che l’orientamento interpretativo trovi esplicita previsione per maggiore chiarezza applicativa.

L’ANAC ha poi messo in rilievo che la formulazione dell’art. 53, comma 16-ter, D.Lgs. 165/2001, sembra escludere la valutazione dell’elemento psicologico sotteso ai comportamenti individuati come vietati, facendo seguire automaticamente all’accertamento della fattispecie vietata le sanzioni della nullità del contratto e dei conseguenti obblighi di restituzione in capo all’ex dipendente pubblico e del divieto di contrattare con le pubbliche amministrazioni per il soggetto privato che ha conferito l’incarico dichiarato nullo.

L’Autorità ritiene che la disposizione in esame rientri nell’ambito delle discipline finalizzate a prevenire situazioni di conflitto nel conferimento degli incarichi, con particolare riferimento al passaggio di funzionari dal settore pubblico a quello privato.

L’art. 53, comma 16-ter, D.Lgs. 165/2001, costituisce quindi una delle misure adottate dal legislatore al fine di prevenire fenomeni corruttivi e di garantire il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione. Parallelamente alle regole che dettano divieti temporanei di accesso alle cariche pubbliche – inconferibilità - e di cumulo di più cariche – incompatibilità - è stato quindi disciplinata l’uscita del dipendente dalla sfera pubblica.

 

L’automatismo punitivo

Nella stima delle sanzioni non si può tralasciare la logica di tutela preventiva più che di finalità punitivo-afflittiva che l’Autorità ha da sempre riconosciuto alle disposizioni contenute nel D.Lgs. 39/2013.

In questo contesto a giudizio di ANAC risulta incomprensibile l’automatismo e la gravità delle sanzioni in esame, che sembrano finalizzate più a punire i soggetti riconosciuti come agenti della condotta vietata piuttosto che a ripristinare la legalità e il buon nome dell’azione amministrativa.

Segnatamente l’automatismo evidenziato è in contrasto con l’interpretazione che l’Autorità anticorruzione ha dato delle norme sulle inconferibilità di cui al D.Lgs. 39/2013 rivolte a tutelare il medesimo interesse pubblico della disposizione in esame ed in particolare della sanzione dell’impossibilità di conferire gli incarichi, prevista dall’art. 18, comma 2, del citato decreto per i componenti degli organi che abbiano conferito incarichi nulli.

Anche in tal caso, come in quello in esame, la normativa si limita a prevedere,
indicandone il contenuto, la sanzione inibitoria, costruita quasi come conseguenza automatica della dichiarazione di nullità dell’incarico.

Al riguardo l’Autorità anticorruzione ritiene necessario far precedere l’applicazione della sanzione da una verifica sull’elemento psicologico che ha connotato il conferimento dell’incarico poi dichiarato nullo.

Ciò in quanto, afferma l’Autorità, se così non fosse, ci troveremmo di fronte ad un procedimento incostituzionale per contrasto con i principi di razionalità e parità di trattamento con altre sanzioni amministrative, per violazione dei principi generali in materia di sanzioni amministrative, applicabili sulla base all’art. 12 della legge 689/1981, e per violazione del diritto di difesa e del principio di legalità dell’azione amministrativa di cui agli articoli, rispettivamente, 24 e 97 Cost.

Inoltre a ben vedere tale procedimento si porrebbe in chiaro contrasto anche con  consolidati principi eurounitari.

Analoghe considerazioni possono essere svolte con riferimento all’automatismo della sanzione interdittiva applicabile alle fattispecie di pantouflage ai sensi dell’art. 53, comma 16-ter, D.Lgs. 165/2001, le quali si mostrano in aperto contrasto rispetto ai principi generali dell’ordinamento nazionale e di quello comunitario sopra richiamati.

Deriva per ANAC la necessità di riconsiderare la formulazione della disposizione in esame al fine di consentire la valutazione dell’elemento psicologico sotteso alla violazione del divieto da essa imposto.

 

Nullità del contratto e divieto di contrattare

Ha per altro verso evidenziato ANAC che la dichiarazione della nullità del contratto stipulato o dell’incarico conferito in violazione dell’art. 53, comma 16-ter, D.Lgs. 165/2001, così come attribuita alla competenza dell’Autorità dalla sentenza del Consiglio di Stato non appare porre particolari problemi.

Segnatamente, del pari a quanto accade con le delibere che accertano una fattispecie di inconferibilità ai sensi del D.Lgs. 39/2013 e la conseguente nullità dell’incarico affidato in violazione di tale disciplina, l’Autorità stessa, all’esito dell’accertamento degli elementi costitutivi della fattispecie vietata, non può fare altro che dichiarare la nullità del relativo atto di conferimento dell’incarico.

Tuttavia lo stesso non può dirsi degli obblighi di restituzione che la disposizione in esame connette alla nullità dei contratti e degli incarichi conferiti in violazione di essa.

Infatti, il dettato normativo e l’interpretazione dello stesso offerta dal Consiglio di Stato non consentono di individuare il soggetto tenuto alla restituzione, così come il soggetto destinatario di un eventuale obbligo di restituzione posto a carico dell’ex dipendente pubblico.

Il legislatore non ha, infatti, chiarito se la restituzione dei compensi accertati e percepiti quale corrispettivo dell’incarico illegittimo debba essere effettuato in favore del soggetto privato che ha conferito l’incarico stesso oppure in favore dell’amministrazione di provenienza dell’ex dipendente pubblico passato al privato.

Per ANAC trattandosi di un incarico illegittimamente conferito a un ex dipendente pubblico dal un soggetto privato, la restituzione dovrebbe avvenire da parte del primo in favore del secondo.

Inoltre, in assenza di una precisa disposizione in tal senso, non sembra configurabile un potere dell’Autorità di occuparsi dell’escussione delle somme in questione nei confronti di un soggetto che non ha rapporti di natura pubblicistica con l’amministrazione, così come di entrare nel merito di un rapporto di natura privatistica derivante dal contratto stipulato tra l’ex dipendente pubblico e il soggetto privato che gli ha affidato l’incarico in violazione della disposizione in esame.

In tal senso, l’accertamento della fattispecie dovrebbe ricomprendere anche la sussistenza e la verifica dell’entità dei corrispettivi eventualmente pattuiti per lo svolgimento dell’incarico vietato.

È di talchè necessario l’intervento del legislatore al fine di identificare sia il soggetto su cui grava l’obbligo di restituzione, che quello in favore del quale è previsto tale obbligo, così come di definire i margini di intervento dell’Autorità anticorruzione rispetto al rapporto di natura privatistica intercorso in merito all’incarico in questione.

Circa il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione non è poi chiaro se con la previsione del divieto in questione il legislatore abbia inteso impedire al soggetto privato di contrattare solo con l’amministrazione di provenienza del dipendente pubblico al quale ha conferito l’incarico oppure con tutte le pubbliche amministrazioni.

L’incertezza segnalata è tanto più evidente se si tiene conto che nell’allegato 1 al primo PNA del 2013 elencando le sanzioni previste per la violazione del divieto in questione, si è specificato espressamente che i soggetti privati che hanno concluso contratti o conferito incarichi in violazione del divieto non possono contrattare con la pubblica amministrazione di provenienza dell’ex dipendente per i successivi tre anni.

Nei successivi Piani Nazionali Anticorruzione riprendendo quanto ribadito nei bandi-tipo emanati in attuazione del D.Lgs. 50/2016, l’Autorità, pur non avendo preso espressamente posizione in merito all’aspetto in questione, ha mostrato di attenersi al dato letterale dell’art. 53, comma 16-ter, D.Lgs. 165/2001.

Infatti, la condizione dell’operatore economico di non aver stipulato contratti di lavoro o comunque attribuito incarichi a ex dipendenti pubblici in violazione della disposizione stessa è stata considerata alla stessa stregua dei requisisti generali di partecipazione alle procedure pubbliche di affidamento previsti a pena di esclusione e, conseguentemente, oggetto di specifica dichiarazione da parte dei concorrenti.

Tali previsioni a giudizio di ANAC sembrano implicitamente confermare la tesi secondo la quale il divieto si estende a tutte le pubbliche amministrazioni e non solo all’amministrazione di appartenenza, la quale è senz’altro a conoscenza dell’accertata violazione del divieto in questione dal momento che il rapporto tra l’ex dipendente e la stessa costituisce uno dei presupposti per la sussistenza della violazione stessa.

Sul punto è fondamentale una chiara e precisa indicazione legislativa, da ispirarsi a criteri di ragionevolezza e proporzionalità.

Qualora si ritenga che il divieto di contrattare imposto al soggetto privato che abbia conferito un incarico per violazione della disposizione in esame sia riferito a tutte le amministrazioni, non si può trascendere la necessità di dare adeguata pubblicità a tale misura interdittiva, dal momento che è opportuno che tutte le stazioni appaltanti abbiano conoscenza che il soggetto in questione è destinatario di una misura interdittiva che gli impedisce di partecipare alle gare.

In tal senso, suggerisce ANAC potrebbe valutarsi l’inserimento nella sezione “B” del Casellario Informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, detenuto dall’Autorità ai sensi dell’art. 213, comma 10, D.Lgs. 50/2016 dell’intervenuta applicazione della misura del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione.

Questa sezione del Casellario infatti, ad accesso riservato alle s.a. e alle S.O.A., oltre che agli operatori economici destinatari del provvedimento di annotazione per la visione della propria posizione, contiene anche le informazioni di cui all’art. 80, comma 5, lett. f), del d.lgs. 50/2016, tra le quali vi sono anche le ulteriori misure interdittive che impediscono la partecipazione alle gare e la stipula dei contratti o subcontratti e i provvedimenti sanzionatori di natura pecuniaria e interdittiva comminati dall’Autorità.

Sotto altra visuale la sanzione del divieto di contrattazione con le pubbliche amministrazioni per tre anni per ANAC è sproporzionata sia con riferimento alla durata prevista che in relazione all’impossibilità di graduare il periodo di interdizione ancorandolo ad elementi oggettivi valutabili in sede di applicazione della sanzione stessa.

Va infatti considerato che imporre ad un operatore economico il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione per un periodo temporale così lungo finisce il più delle volte per escluderlo completamente dal mercato in cui opera provocando di fatto un effetto che difficilmente potrebbe ritenersi legittimo alla luce del principio di proporzionalità che deve sempre connotare l’azione amministrativa, nel senso di un corretto bilanciamento tra l’interesse pubblico primario da perseguire e il sacrificio dell’interesse diverso necessario per la persecuzione del primo.

Ciò è tanto più vero nei casi in cui l’attività dell’operatore economico necessita di un rapporto continuo con la pubblica amministrazione che deve autorizzarne l’esercizio.

In tali casi il divieto a contrattare imposto in conseguenza dell’accertata ipotesi di pantouflage a ben vedere finisce di fatto per paralizzare l’attività del soggetto privato.

Secondo ANAC tali effetti non sono conformi alla logica della disposizione in esame in quanto assolutamente sproporzionati rispetto alla tutela dell’interesse del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione.

Anche un raffronto con altre misure interdittive previste nel nostro ordinamento, ed in particolar modo la sanzione dell’esclusione dalle procedure di gara e negli affidamenti di subappalto che l’Autorità può comminare ai sensi dell’art. 80, comma 12, d.lgs. 50/2016, per il caso di falsa dichiarazione o falsa documentazione presentata in gara dall’operatore economico, è prevista per un periodo temporale più breve, due anni, e graduabile fino al massimo previsto dalla disposizione in questione.

La misura del divieto di contrarre con la pubblica amministrazione previsto dall’art. 53, comma 16-ter, D.Lgs. 165/2001, assume rilievo proprio come requisito generale di partecipazione alle gare, come riconosciuto anche dall’Autorità anticorruzione che ha previsto, nel Bando-tipo n. 1, approvato con delibera del 22 novembre 2017, par. 6, quale specifica causa di esclusione, proprio la violazione del divieto previsto nella richiamata disposizione.

 

Ragionevolezza e proporzionalità

I principi comunitari espressi in tema di misure di carattere penale impongono di valutare la legittimità delle misure adottate ai sensi degli artt. 6 e 7 della Convezione Europea dei Diritti dell’Uomo, oltre che la necessità di effettuare il bilanciamento sopra indicato al fine di considerare la proporzione tra il sacrificio imposto al privato e l’interesse pubblico perseguito con la misura stessa alla luce dei principi di proporzionalità e sussidiarietà di cui all’art. 5 del Trattato sull’Unione Europea.

Ne deriva che una lettura della norma in questione orientata ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, declinati sia in ambito comunitario che costituzionale, rende necessaria una graduazione della sanzione interdittiva da imporre al soggetto privato che abbia violato la disposizione di cui all’art. 53, comma 16-ter, D.Lgs. 165/2001 e che comunque non prescinda dalla valutazione dell’elemento psicologico in precedenza richiamato.

È auspicabile per ANAC un intervento del legislatore volto a configurare un nuovo regime sanzionatorio basato fondamentalmente su un sistema di sanzioni pecuniarie accompagnato, solo nei casi più gravi, da sanzioni interdittive.

Anche le sanzioni interdittive per ANAC andrebbero graduate sia con riferimento alla loro durata, con indicazione di un valore minimo e un valore massimo, sia differenziando tra sanzioni interdittive riferite alla sola amministrazione di provenienza e sanzioni riferite al complesso delle pubbliche amministrazioni.

 

Vigilanza esterna ed interna

Altro aspetto che merita attenzione nell’ambito di una revisione della disciplina del pantouflage per ANAC è quello relativo alla corretta ripartizione dei poteri di vigilanza, nel senso di poter distinguere tra una vigilanza c.d. “esterna”, che può essere attribuita all’Autorità, e una vigilanza c.d. “interna” che, invece, dovrebbe essere affidata al Responsabile anticorruzione di ciascuna amministrazione, analogamente a quanto accade per la violazione delle disposizioni contenute nel D.Lgs. 39/2013 secondo quanto previsto dagli artt. 15 e 16 del decreto stesso.

Va considerato che la violazione in questione si realizza in un momento successivo alla interruzione del rapporto di pubblico impiego e pertanto, al fine di rendere effettiva la vigilanza delle amministrazioni, risulterebbe necessaria la previsione di uno specifico obbligo di vigilanza sull’amministrazione di appartenenza dell’ex dipendente pubblico, oltre che di un preciso obbligo informativo posto a carico dell’ex dipendente pubblico nei confronti dell’amministrazione di appartenenza in ordine agli incarichi e ai contratti stipulati con soggetti privati nel c.d. “periodo di raffreddamento”. 

Non di rado infatti le amministrazioni sono incerte sulla titolarità del potere di vigilanza sul rispetto della disposizione in questione, così come sulla possibilità o necessità di attivarsi per la contestazione della violazione ai soggetti interessati.

Al riguardo l’Autorità anticorruzione, raccomanda di inserire dei Piano triennale anticorruzione dell’Ente, misure volte a prevenire il fenomeno del pantouflage, quali: clausole di previsione del divieto negli atti di assunzione; dichiarazione del dipendente al momento della cessazione dal servizio con la quale impegnarsi a non violare il divieto; obblighi dichiarativi a carico dell’operatore economico al momento della partecipazione alle gare oltre a quella al RPCT di segnalare la violazione del divieto imposto dall’art. 53, comma 16-ter, d.lgs. 165/2001, al vertice dell’amministrazione ed eventualmente anche al soggetto privato che ha conferito l’incarico vietato, non appena ne abbia avuto conoscenza.

Tali misure preventive andrebbero implementate con specifici obblighi informativi posti a carico dei soggetti interessati.

16 giugno 2020

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