massima
In tema di edilizia e urbanistica, e nello specifico per quanto concerne la d.i.a., va detto che, una volta decorsi i termini per l'esercizio del potere inibitorio-repressivo alla stessa, questa determini un titolo abilitativo valido ed efficace, che può essere rimosso, per espressa previsione legislativa, solo attraverso l'esercizio del potere di autotutela decisoria. Pertanto, deve considerarsi illegittima l'adozione, da parte di un’amministrazione comunale, di un provvedimento repressivo-inibitorio della d.i.a. (già consolidatasi) oltre il termine perentorio di trenta giorni dalla presentazione della medesima d.i.a. e senza le garanzie e i presupposti previsti dall'ordinamento per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio.
Pubblicato il 30/10/2017
N. 05018/2017REG.PROV.COLL.
N. 06497/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6497 del 2016, proposto da:
D. D. , rappresentato e difeso dagli avvocati Emanuele Ratto, Gabriele Pafundi, con domicilio eletto presso lo studio Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare, 14;
contro
Comune di Milano, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Antonello Mandarano, Giuseppe Lepore, Paola Cozzi, Maria Lodovica Bognetti, Alessandra Montagnani, con domicilio eletto presso lo studio Giuseppe Lepore in Roma, via Polibio, 15;
nei confronti di
L. V. non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - MILANO: SEZIONE II n. 01307/2016, resa tra le parti, concernente in autotutela della dia - demolizione opere
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Milano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2017 il Cons. Davide Ponte e uditi per le parti gli avvocati Gabriele Pafundi e Paola Cozzi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’appello in esame l’odierna parte appellante impugnava la sentenza n. 1307\2016 con cui il Tar Milano respingeva l’originario gravame, proposto dalla stessa parte al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento del comune di Milano, recante annullamento in autotutela della denuncia di inizio attività, presentata in variante di precedente DIA per opere realizzate sul lastrico solare dell’immobile di proprietà della stessa D. D. ; l’atto impugnato conteneva anche l’ordine di demolizione delle medesime opere.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava i seguenti motivi di appello:
- omessa pronuncia e carenza assoluta di motivazione sulla eccepita mancata comunicazione di avvio del procedimento di autotutela, per mancanza della prova della necessaria ricezione nella documentazione depositata dalla p.a. resistente, nonché per violazione delle garanzie partecipative circa l’interlocuzione con il privato autore dell’esposto da cui è sorto il procedimento contestato;
- difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, error in iudicando in relazione al titolo prodotto, che in realtà era la dia del 27\10\2010 e non la sanatoria del 2009;
- analoghi vizi rispetto al secondo e terzo motivo di primo grado, sotto diversi profili, per assenza dei presupposti dell’autotutela ed il travisamento nella qualificazione delle opere.
L’amministrazione appellata si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.
Con ordinanza n. 4606\2016 di questa sezione veniva accolta la domanda cautelare di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata.
Alla pubblica udienza del 26\10\2017, in vista della quale le parti depositavano memorie, la causa passava in decisione.
DIRITTO
1. Il primo motivo di appello è fondato in parte qua.
Per un verso, contrariamente a quanto dedotto da parte appellante, trattandosi di procedimento d’ufficio, non sussiste alcuna necessità di coinvolgere l’eventuale soggetto privato autore di un esposto in merito alla correttezza delle opere contestate.
È noto e più volte ribadito dalla giurisprudenza il carattere ampiamente discrezionale del potere di autotutela, che non può essere resa coercibile ad iniziativa del destinatario del provvedimento o di un terzo interessato (cfr. ad es. CdS sez. VI n. 5629\2011).
Per un altro verso, peraltro, proprio a fronte del carattere officioso e dell’intervento su di una situazione già consolidatasi in capo al privato inciso (come nel caso di specie in cui sono trascorsi oltre tre anni fra il perfezionarsi della dia e l’avvio del procedimento di autotutela, nonché quattro anni rispetto all’adozione dell’atto di annullamento), occorre rigore nella verifica della prova della ricezione delle comunicazione, in quanto atto da adottare a garanzia dei fondamentali principi di tutela della partecipazione del soggetto passivo al procedimento avviato d’ufficio nei suoi confronti.
Infatti, a quest’ultimo proposito, costituisce jus receptum il principio per cui, affinché il potere di intervento “tardivo” sulla d.i.a. possa dirsi legittimamente esercitato, è indispensabile che, ai sensi dell'art. 21 nonies l. n. 241 del 1990, l'autorità amministrativa invii all'interessato la comunicazione di avvio del procedimento, che l'atto di autotutela intervenga tempestivamente e che in esso si dia conto delle prevalenti ragioni di interesse pubblico concrete e attuali, diverse da quelle al mero ripristino della legalità violata, che depongono per la sua adozione, tenendo in considerazione gli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
Orbene, se nel caso de quo occorreva la specifica e rigorosa prova dell’avvenuta ricezione della necessaria comunicazione, non solo della spedizione (di per sé inidonea a garantire il rispetto delle predette garanzie), sul punto erroneamente la sentenza di prime cure, lungi dal verificare la sussistenza dell’assolvimento del dovuto onere probatorio in capo alla p.a., ha reputato sufficiente la mera emissione della comunicazione. Al riguardo la motivazione posta a base del rigetto del primo motivo di ricorso originario appare, oltre che meramente riferita alla prova dell’avvio della comunicazione senza verifica della ricezione, genericamente e contraddittoriamente basata sulla qualificazione di mere congetture sulla presunzione di conoscenza, quando invece la censura contesta proprio l’inammissibilità di qualsiasi presunzione di conoscenza, in conformità ai principi fondamentali vigenti in tema di autotutela, come sopra richiamati.
Nel dettaglio, dall’esame della documentazione versata in atti non emerge alcuna prova in merito all’effettiva ricezione della necessaria comunicazione, presupposto fondante il rispetto dei principi in tema di garanzie partecipative e di conseguente tutela dell’affidamento facente capo in specie ad un soggetto che ha presentato una dia divenuta efficace.
2. Pur dinanzi al carattere assorbente del profilo accolto, per ragioni di completezza occorre esaminare gli ulteriori profili, tesi nella sostanza a criticare sia la ricostruzione procedimentale del complesso iter portato avanti dall’odierna appellante e la connessa mancanza dei presupposti per l’intervento in autotutela, sia la qualificazione dell’opera in contestazione.
Dall’esame della scansione procedimentale che ha interessato i diversi titoli adottati in relazione alle opere realizzate nell’immobile di proprietà dell’odierna appellante, non emerge alcuna incertezza sulla qualificazione del provvedimento impugnato in termini di autotutela sulla dia presentata nel marzo del 2011, rispetto alla quale invero le stesse parti risultano sostanzialmente concordi. Ciò che costituisce oggetto di contestazione è piuttosto la qualificazione delle opere in termini di ristrutturazione ovvero manutenzione straordinaria.
Peraltro, ai fini di causa, la pacifica natura di autotutela assume rilievo preliminare e, per quanto si dirà, dirimente. Infatti in materia la sezione ha già avuto modo di evidenziare (cfr. ad es. CdS sez VI 2842\2016) che la d.i.a., una volta decorsi i termini per l'esercizio del potere inibitorio-repressivo, costituisce un titolo abilitativo valido ed efficace, che può essere rimosso, per espressa previsione legislativa, solo attraverso l'esercizio del potere di autotutela decisoria. Pertanto, deve considerarsi illegittima l'adozione, da parte di un’amministrazione comunale, di un provvedimento repressivo-inibitorio della d.i.a. (già consolidatasi) oltre il termine perentorio di trenta giorni dalla presentazione della medesima d.i.a. e senza le garanzie e i presupposti previsti dall'ordinamento per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio.
Va quindi ribadito che l'annullamento del provvedimento formatosi sulla d.i.a. edilizia, oltre a dover essere preceduto dall'avviso di avvio del procedimento al fine di garantire l’effettiva partecipazione al procedimento del soggetto passivo titolare della posizione giuridica attiva incisa, va accompagnato dal rispetto di tutte le forme sostanziali e procedimentali previste per gli atti in autotutela, ivi compresa la necessità di un tempo ragionevole per porre in essere il provvedimento di secondo grado (ora normatizzato in diciotto mesi) e la comparazione dell'interesse pubblico con l'aspettativa del privato, consolidata dal decorso del tempo e dalla consapevolezza dell'intervenuto assenso tacito nei termini di legge: in difetto dei presupposti per l'esercizio dell'autotutela, l'attività dichiarata può legittimamente proseguire. In particolare, in materia di edilizia - e quindi anche in relazione alla d.i.a., figura cardine dell'edilizia quale strumento di semplificazione -, il potere di autotutela deve essere esercitato dall'Amministrazione competente entro un termine ragionevole e supportato dall'esternazione di un interesse pubblico, attuale e concreto, alla rimozione del titolo edilizio tanto più quando il privato, in ragione del tempo trascorso, ha riposto, con la realizzazione del progetto, un ragionevole affidamento sulla regolarità dell'autorizzazione edilizia. Di conseguenza, nell'esternazione dell'interesse pubblico l'Amministrazione deve indicare non solo gli eventuali profili di illegittimità ma anche le concrete ragioni di pubblico interesse, diverse dal mero ripristino della legalità in ipotesi violata, che inducono a porre nel nulla provvedimenti che, pur se illegittimi, abbiano prodotto i loro effetti.
Nel caso di specie, dal punto di vista temporale, è pacifico che l'intervento comunale sia avvenuto ben oltre il termine di efficacia della d.i.a., a quasi quattro anni di distanza; se nel caso di specie non è applicabile, ratione temporis, la nuova formulazione della norma di cui all’art. 21 nonies, è anche vero che quest'ultima non può non valere come prezioso (e ineludibile) indice ermeneutico ai fini dello scrutinio dell'osservanza della regola di condotta in questione. Come già evidenziato dalla giurisprudenza della sezione, per quanto l'anzidetta, cogente regola non possa applicarsi a provvedimenti di autotutela perfezionatisi prima dell'entrata in vigore dell'intervento normativo che l'ha introdotta, non può trascurarsi la valenza della presupposta scelta legislativa, in occasione dell'esegesi e dell'applicazione della norma, nella sua formulazione previgente (cfr. ad es. CdS, sez. VI, 10 dicembre 2015 n. 5625). La decifrazione della nozione indeterminata di termine ragionevole, ai fini dello scrutinio della sua corretta interpretazione (ed applicazione) da parte dell'amministrazione, dev'essere, quindi, compiuta con particolare rigore quando il potere di autotutela viene esercitato su atti attribuitivi di utilità giuridiche od economiche, con la conseguenza che, pur non potendo ritenersi consumato, nella fattispecie esaminata, il potere di annullamento d'ufficio decorso il termine massimo stabilito dal legislatore del 2015, deve giudicarsi, comunque, irragionevole un termine notevolmente superiore (nel caso in esame ben oltre il doppio) a quest'ultimo.
Dal punto di vista dei presupposti, risultano altresì carenti ed insufficienti l'indicazione dell'interesse pubblico ulteriore, nonchè la presa in considerazione dell'affidamento o comunque della situazione del privato, due elementi fondamentali, sia per l'autotutela in genere sia, in particolare, per quella relativa agli strumenti di semplificazione, in assenza dei quali risulterebbe del tutto travisata e sconfitta la scelta di semplificazione compiuta ormai da tempo dal legislatore, il cui carattere di principio fondamentale è stato altresì certificato dalla giurisprudenza costituzionale.
Peraltro, anche sul versante della qualificazione delle opere, la sentenza impugnata risulta aver aderito alla tesi comunale della ristrutturazione, senza alcuna esplicazione degli elementi in base ai quali reputare corretta tale qualificazione e soprattutto senza spendere alcun’argomentazione al fine di accertare l’effettiva consistenza e di reputare infondata la tesi di parte ricorrente; a quest’ultimo proposito l’appello risulta quindi altresì fondato in quanto, oltre alla omessa pronuncia sui motivi dedotti al riguardo, la consistenza delle opere oggetto della dia in autotutela appaiono di rilevanza tale da porre in serio dubbio la qualificazione in termini di ristrutturazione, la quale potrebbe riferirsi alla sola intera veranda, non agli elementi accessori di accesso alla stessa.
3. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso di primo grado con conseguente annullamento del provvedimento di autotutela impugnato.
Le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado.
Condanna parte appellata al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio in favore di parte appellante, liquidate in complessivi euro 2.000,00 (duemila\00), oltre accessori dovuti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2017 con l'intervento dei magistrati:
Sergio Santoro, Presidente
Bernhard Lageder, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere
Francesco Mele, Consigliere
Davide Ponte, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
Davide Ponte |
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Sergio Santoro |
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IL SEGRETARIO
Corte costituzionale – Sentenza n. 91 del 1° luglio 2025
Risposta del Dott. Luigi Oliveri
Tar Sicilia, Sezione I, sentenza n. 1070/2025
Risposta dell'Avv. Lorella Martini
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