Approfondimento di Vincenzo Giannotti

Danno erariale all’avvocato interno che non appella la sentenza

Servizi Comunali Responsabilità amministrativa
di Giannotti Vincenzo
07 Maggio 2020

Approfondimento di Vincenzo Giannotti                                                                                              

Danno erariale all’avvocato interno che non appella la sentenza

Vincenzo Giannotti

Nella pur discrezionalità delle funzioni attribuite all’avvocatura interna, di proporre o meno ricorso in caso di soccombenza nel giudizio di primo grado, questa non può essere giustificata dal momento in cui la stessa sia irrazionale, ad esempio quando la giurisprudenza di legittimità si sia orientata in senso opposto a quello che ha visto soccombente l’ente. A nulla sono valse le giustificazioni tardive dell’avvocato in merito al carico di lavoro e alla disorganizzazione degli uffici, stante gli obblighi che incombono all’avvocato interno, colpevole di non aver evidenziato ai vertici dell’ente la scelta incauta operata, anche a fronte di un’ altra sentenza appellata avente le medesime caratteristiche che ha poi visto vittorioso l’ente. In considerazione dell’enorme ammontare del danno cagionato all’ente (pari a circa 2,7 Milioni di euro), la Corte dei conti dell’Emilia-Romagna nella sentenza n.44/2020 (nel file allegato), ha considerato un ampio potere riduttivo, stante anche il limite del danno erariale in rapporto al trattamento economico percepito dall’avvocato, tanto da ridurre l’importo del danno pari a 600.000 euro.

La vicenda

L’avvocato dell’Inps non ha presentato appello avverso la sentenza del giudice di primo grado che ha riconosciuto, equiparando le indennità riconosciute ai ciechi civili assoluti a quelle godute dai grandi invalidi di guerra, aggiungendo, oltre l’indennità di accompagnamento, anche altre indennità, quali l’assegno integrativo sostitutivo della prestazione di due accompagnatori militari. L’importo corrisposto di queste maggiori indennità, nel periodo oggetto della controversia, ha visto l’ente soccombere per una somma pari a circa 2,7 Milioni di euro. Secondo la Procura la colpa grave dell’avvocato è consistita nel non aver avvertito, dell’importo addebitato dal giudice di primo grado, i vertici dell’ente. Non solo, ma in una medesima causa, l’avvocato ha proposto ricorso ed ottenuto ragione in sede di appello, anche a fronte della giurisprudenza consolidata del giudice di legittimità. Il sospetto da parte del PM è che l’avvocato si fosse dimenticato della causa, ma che in ogni caso, vista la giurisprudenza di legittimità, il mancato appello ha generato un consistente danno all’ente previdenziale da addebitare interamente all’imperizia dell’avvocato.

Nella sua difesa l’avvocato ha sostenuto che si trattava di una discrezionalità rimessa alla sua esclusiva competenza, dimostrando come, il giudice di primo grado, avesse particolarmente motivato la sentenza, anche in considerazione della sua autorevolezza, in modo puntuale tale da non lasciare margini ad un possibile intervento riparatore in sede di appello. Inoltre, a sostegno della mancata comunicazione ai vertici dell’ente della soccombenza e del mancato parere circa un possibile esito favorevole o sfavorevole in caso di appello, ha stigmatizzato la grande disorganizzazione dell’ente e, soprattutto, il numero enorme di cause a lui attribuite in quel periodo di tempo.

La decisione del Collegio contabile

I giudici contabili emiliano romagnoli riconoscono come fondata la domanda di danno erariale proposta dalla Procura. E’ vero, infatti, che  il legislatore a favore dei ciechi civili assoluti, mediante l’art. 1 della legge n. 165/1983, ha esplicitamente equiparato, a decorrere dal 1° gennaio 1982, l’importo dell’indennità di accompagnamento a quella, di importo più elevato, goduta dai grandi invalidi di guerra. Tuttavia, la giurisprudenza della Corte di cassazione, a decorrere dal 1993, si è progressivamente consolidata nel senso di ritenere che, l’equiparazione dell’indennità di accompagnamento spettante ai ciechi civili assoluti a quella goduta dai grandi invalidi di guerra, riguarderebbe solo la misura dell’indennità di accompagnamento, e non anche l’estensione ai ciechi civili dell’intero complesso delle misure di assistenza predisposte a favore degli invalidi di guerra, che comprendono l’assegno integrativo sostitutivo della prestazione di accompagnatori militari.

In merito alla colpa grave del convenuto, ricorda il Collegio contabile, come la giurisprudenza civile unanimemente riconosce il risarcimento del danno da omessa impugnazione nel caso in cui, come quello in analisi, sulla base della regola del “più probabile che non”, sia possibile, sulla base di un accertamento prognostico, affermare che l’omessa impugnazione abbia avuto efficacia causale diretta nella determinazione del danno (ex multis, Corte di cassazione, sez. III civ., ord. 30 aprile 2018, n. 10320). In altri termini, la condotta dell’avvocato interno è da considerarsi gravemente colposa in quanto ha arrecato all’ente un danno, avendo precluso, con la sua condotta, la possibilità di ottenere la riforma della sentenza di primo grado.

La quantificazione del danno

In ragione del rapporto tra il danno erariale (circa 2,7 Milioni di euro) e la capacità retributiva di un dipendente pubblico, anche potendo ridurre il danno sulla base di una stima ipotetica di probabilità di soccombenza pari al 20% e di altre cause , si otterrebbe un importo del danno in ogni caso elevato, tanto da giustificare una specifica ulteriore riduzione. Precisano i giudici contabili come, pur non avendo la difesa allegato tale circostanza, né essendo in atti la certificazione unica (CU) del convenuto, è necessario poter ridurre il danno erariale sulla capacità massima contributiva del dipendente pubblico. Il danno erariale, secondo il Collegio contabile, pur avendo essenzialmente, secondo la prevalente giurisprudenza, natura risarcitoria-riparatoria, svolge altresì una funzione repressivo-sanzionatoria, per la centralità che in essa ha l’agente pubblico danneggiante. Proprio quest’ultima funzione giustifica la previsione legislativa del potere riduttivo, il quale non potrebbe avere ingresso nel giudizio contabile se quest’ultimo svolgesse una funzione esclusivamente risarcitoria. In questo caso è parso equo al Collegio contabile ridurre a 600.000 euro il danno da porre a carico dell’avvocato.    

4 maggio 2020

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