Approfondimento di Matteo Barbero

La fluidità della normativa di riferimento complica la programmazione delle assunzioni

Servizi Comunali Assunzione
di Barbero Matteo
29 Gennaio 2020

La fluidità della normativa di riferimento complica la programmazione delle assunzioni

Matteo Barbero

I tempi lunghi di pubblicazione ed i contenuti del decreto attuativo dell’art. 33 del dl 34/2019 stanno complicando la vita degli enti, che quasi sempre si trovano costretti a rivedere la programmazione del personale senza riferimenti precisi a cui attenersi.

La norma in realtà nasce con un obiettivo pienamente condivisibile, ossia quello di sganciare i nuovi reclutamenti dalle cessazioni, misurando l’ampiezza del turn-over in base al peso della spesa per il pagamento degli stipendi sulle entrate correnti. In pratica, chi spende meno per gli stipendi dovrebbe poter assumere di più, ma ciò non sempre accade.

Nel dettaglio, le amministrazioni nelle quali l’indicatore si colloca al di sotto della soglia minima fissata dal provvedimento potranno effettuare assunzioni a tempo indeterminato in misura superiore alla propria capacità assunzionale. Ma esse dovranno rispettare comunque due paletti: la spesa complessiva, da un lato, non potrà superare la medesima soglia, dall’altro non potrà registrare un incremento annuo superiore alle percentuali individuate dal decreto. Il primo limite, per di più, si applica anche all’utilizzo dei c.d. resti, con l’effetto paradossale, in diversi casi, di ridurre (anziché incrementare) gli spazi assunzionali

Per contro, le amministrazioni nelle quali tale rapporto si colloca al di sotto della soglia massima fissata dal provvedimento dovranno adottare un piano che consenta loro di rientrare nel 2025 entro i parametri fissati dal provvedimento medesimo.

Infine, le amministrazioni comunali che presentano un rapporto intermedio fra i due valori soglia dovranno restare nel tetto delle capacità assunzionali, ma non sono obbligati ad adottare un piano di rientro.

Per gli enti “virtuosi” è detto chiaramente che la maggiore spesa derivante dalle assunzioni disposte in base al decreto non rileva ai fini della verifica dei limiti di cui ai commi 557 e 562 della L. 296/2006, che quindi rimangono vigenti: ne deriva che, in sede di verifica, occorrerà depurare la spesa di tale quota.

Per gli enti sopra soglia massima, invece, si tratta di definire un ”percorso di graduale riduzione annuale” del rapporto “anche applicando un turn-over inferiore al 100%” e solo dal 2025 scatterebbe, in caso di mancato conseguimento del target, la limitazione del turn-over al 30%. Nulla si dice sul come debba essere strutturato il “percorso graduale”, per cui riteniamo sia necessaria almeno una delibera di Giunta con parere dell’organo di revisione.

In ogni caso, sembra di capire che, in tali casi, la disciplina di riferimento sia ancora quella “vecchia” basata sulle cessazioni.

Idem per il caso, ancora più indefinito, degli enti mediani, ossia di quelli che si trovano a metà fra il valore minimo e quello massimo. Per essi, il decreto si limita a precisare che non posso incrementare la spesa di personale rispetto all’ultimo rendiconto approvato. Il che pare introdurre per tali enti un doppio limite: da un lato, quello “fisso”ex commi 557 e 562 della L. 296/2006, dall’altro quello “mobile” dell’ultimo rendiconto. Limiti, per di più, diversi, in quanto il primo da verificare su un aggregato più limitato rispetto a quello rilevante per il secondo.

In attesa che il quadro si chiarisca, le procedure di reclutamento già avviate restano nel limbo. L’attesa pubblicazione del nuovo decreto, che in teoria avrebbe dovuto applicarsi dal 1° gennaio 2020, ma che non ha trovato posto in tempo utile in Gazzetta ufficiale, aggiunge ulteriori incognite a quelle derivanti dai suoi contenuti. La domanda più frequente è se le procedure assunzionali avviate nelle more dell’entrata in vigore della nuova disciplina possano essere portate a compimento anche se non più compatibili con i nuovi vincoli. E, in caso di risposta affermativa, se a tal fine sia sufficiente averle avviate o invece sia necessario averle concluse. La questione potrebbe interessare anche gli enti virtuosi che avessero programmato assunzioni in misura tale da sforare la soglia minima del rapporto spese di personale/entrate correnti, mentre paradossalmente gli enti che si collocano al di sopra della soglia massima potrebbero procedere alla sola condizione di dimostrare il rientro al di sotto di tale valore entro il (lontano) 2025. I più malcapitati sono gli enti mediani, per i quali surrettiziamente viene introdotto il divieto di incrementare la spesa rispetto all’’ultimo rendiconto. In tal caso, si ritiene che solo le assunzioni già perfezionate prima della pubblicazione del dm si sottrarranno alla tagliola.

La nuova disciplina, inoltre, imporrà di rivalutare l’impatto della mobilità fra enti entrambi soggetti a limiti assunzionali (il caso più frequente): finora, chi cedeva il dipendente non poteva registrare una cessazione e chi lo acquisiva non consumava capacità assunzionale. Con il dm il quadro cambierà, perché nel primo caso si avrà comunque una riduzione di spesa (con impatti diversi in base alla situazione di partenza dell’ente), nel secondo una sua lievitazione.

Tutta avvolta nel mistero, infine, è la questione della rimodulazione dei fondi per il salario accessorio, su cui il decreto non spende nemmeno una parola salvo precisare (per di più nelle premesse) che laddove il numero dei dipendenti risulti inferiore a quello rilevato al 31/12/2018 non sarà necessario agire di forbici.

26 gennaio 2020

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