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ANCI – 29 maggio 2025
Dpcm assunzioni: niente paradossi. Induce a gestioni mirate e virtuose
Servizi Comunali AssunzioneDpcm assunzioni: niente paradossi. Induce a gestioni mirate e virtuose
Luigi Oliveri
Nell’articolo pubblicato sul Quotidiano Enti Locali del 23 gennaio 2020 dal titolo “Decreto assunzioni, caso per caso ecco i paradossi sugli organici”, l’autore G. Bertagna muove una serie di critiche all’articolo 33, comma 2, del d.l. 34/2019 convertito in legge 58/2019, come attuato dal Dpcm ancora in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiali.
Molte delle suggestioni dell’articolo, tuttavia, non sono condivisibili. In primo luogo, è sbagliato il punto di partenza. La riforma delle assunzioni non ha per nulla lo scopo di consentirne di più, ma solo di liberare il sistema dal vincolo del turn over e dalle alchimie giuridiche come i “resti assunzionali”. Questi sono un ordine di grandezza di natura incerta ed ibrida: non si tratta di residui contabili, ma di una disponibilità virtuale di spesa, aggiuntiva a quella da turn over, completamente slegata dal bilancio e tale da impedire qualsiasi effettivo controllo della spesa del personale.
L’articolo appare condizionato da un fatto evidente: i comuni soffrono di una troppo alta spesa di personale, rapportata ai primi tre titoli delle entrate correnti, correttamente presi in esame dal legislatore perché sono la fonte di finanziamento principale delle spese correnti.
Non si affermi che i valori soglia sono penalizzanti o troppo stretti.
La Tabella 1 del Dpcm riporta i valori al di sotto dei quali gli enti sono virtuosi:
Fasce demografiche |
Valore soglia |
a) comuni con meno di 1.000 abitanti |
29,5 % |
b) comuni da 1.000 a 1.999 abitanti |
28,6 % |
c) comuni da 2.000 a 2.999 abitanti |
27,6 % |
d) comuni da 3.000 a 4.999 abitanti |
27,2 % |
e) comuni da 5.000 a 9.999 abitanti |
26,9 % |
f) comuni da 10.000 a 59.999 abitanti |
27,0 % |
g) comuni da 60.000 a 249.999 abitanti |
27,6 % |
h) comuni da 250.0000 a 1.499.999 abitanti |
28,8% |
i) comuni con 1.500.000 di abitanti e oltre |
25,3 % |
Ma, per essere non virtuosi occorre avere un rapporto spesa di personale/entrate superiore ai ben più elevati valori della Tabella 3:
Fasce demografiche |
Valore soglia |
a) comuni con meno di 1.000 abitanti |
33,5% |
b) comuni da 1.000 a 1.999 abitanti |
32,6% |
c) comuni da 2.000 a 2.999 abitanti |
31,6% |
d) comuni da 3.000 a 4.999 abitanti |
31,2% |
e) comuni da 5.000 a 9.999 abitanti |
30,9% |
f) comuni da 10.000 a 59.999 abitanti |
31% |
g) comuni da 60.000 a 249.999 abitanti |
31,6% |
h) comuni da 250.0000 a 1.499.999 abitanti |
32,8% |
i) comuni con 1.500.000 di abitanti e oltre |
29,3% |
La media del valore soglia virtuoso è: 27,68%; la media del valore non virtuoso è 31,61%. Rapportiamo questi valori al rapporto tra spesa di personale e totale della spesa complessiva nel bilancio dello Stato, che è poco meno del 20%: notiamo che i valori sono superiori in un range che va dai 5 ai 13 punti percentuali in più rispetto a quanto emerge dal conto consolidato del bilancio dello Stato.
Dunque, i comuni, contrariamente alla vulgata, per il personale spendono molto, se si rapporta la spesa del personale alle entrate correnti.
Il nuovo sistema è impostato non su un criterio ottuso come il contenimento della spesa del personale cessato, bensì sulla sostenibilità della spesa del personale. Se tale spesa è sostenibile, i comuni possono anche assumere oltre i beceri vincoli del turn over. Quindi, il “decreto crescita”, come dovrebbe essere opportuno in un ordinamento serio ed equilibrato, consente un incremento delle assunzioni ma ai comuni che lo possano sostenere.
Per i comuni con un rapporto spesa di personale/entrate diciamo “critico” è del tutto normale che la spesa di personale vada contenuta.
Attenzione: si parla di contenere la spesa di personale, non le assunzioni. Cerchiamo di essere chiari. Certo, le assunzioni incidono non poco nel complesso della spesa. Ma, per esempio, gli enti possono incidere sulla corretta gestione della spesa agendo sulle risorse della contrattazione decentrata. L’eccesso di progressioni orizzontali, apparentemente non implica crescita di spesa. Ma, poi, siccome si ingolfa la parte stabile e non resta nulla o quasi per la produttività, allora i comuni si debbono inventare modi per incrementare le risorse di parte variabile, avvalendosi dell’articolo 67, comma 5, lettera b) (figlio dell’allora articolo 15, comma 5) del Ccnl 21.8.2018, attingendo al bilancio e, quindi, accrescendo la spesa.
Un’attenzione alla spesa complessiva impone di tenere sotto controllo voci spesso insensate: eccesso di incarichi a contratto, eccessi di spese per “staff”, incarichi e consulenze.
Benvenga un complesso normativo che imponga agli enti di rivedere davvero e profondamente la gestione della spesa e non riduca la gestione del personale a mera questione contabile, tanto spendevo per i cessati, tanto posso nuovamente spendere per sostituirli.
Senza contare che, finalmente, la nuova normativa consente di uscire dall’altra prigione dell’invenzione giuscontabile della “mobilità neutra”. Nella nuova logica, una mobilità in uscita è una riduzione della spesa di personale che si può gestire o per ridurre la spesa, oppure come fonte per una sostituzione con un concorso e non più necessariamente con mobilità in entrata.
La nuova logica, dunque, induce ad una maggiore flessibilità gestionale ed a considerare tutte le componenti della spesa di personale come elementi da controllare e modulare.
Per altro, è altrettanto forte la leva per provare a risolvere il più grande dei problemi degli enti locali: la capacità di gestire le entrate, troppo bassa, specie nel meridione.
Non è nemmeno condivisibile l’enunciato dell’articolo secondo il quale l’articolo 3, commi 5 e seguenti, del d.l. 90/2014, non sarebbe stato abolito.
L’Autore propone questa considerazione evidentemente per due ragioni, una implicita, l’altra enunciata:
1. non c’è una norma che abolisca espressamente l’articolo 3, comma 5;
2. esso è “richiamato, anzi, nelle premesse del decreto attuativo”.
Entrambe le argomentazioni non reggono. In quanto alla prima è perfettamente noto che l’abrogazione può essere esplicita ma anche tacita. Quest’ultima interviene in applicazione del principio della successione delle leggi nel tempo, alla luce del quale si deve presumere che tra due norme che regolano la stessa materia, la norma maggiormente corrispondente alla valutazione dell’interesse generale da pereseguire sia quella più attuale e, quindi, quella più recente; di conseguenza, se la norma più recente contiene una normazione che renda la disciplina meno recente incompatibile col nuovo assetto, tale norma più antica è da considerare implicitamente o tacitamente abrogata. Ed è esattamente ciò che si verifica nel caso di specie: un sistema che disciplina le assunzioni in base al rapporto spesa di personale/entrate è totalmente incompatibile con quello basato sul tetto al turn over impostato sul costo del personale cessato l’anno precedente. In quanto alla seconda: il richiamo della norma nella parte motivazionale non ha alcun valore normativo e, comunque, è effettuato solo a fini istruttori, non produce nessun effetto di ultravigenza.
Il nuovo sistema è l’antitesi della gestione delle assunzioni svincolata da uno sguardo alla sostenibilità della spesa alla luce delle entrate correnti, quale quella impostata sul mero turn over. Il sistema del turn over consente anche al comune con personale in chiaro sovrannumero rispetto alle medie nazionali di continuare a restare in tale sovrannumero (che verosimilmente causa un valore del rapporto spesa di personale/entrate non virtuoso) e di assumere esattamente con le stesse percentuali di un comune, invece, non così sovradimensionato.
Il sistema del turn over conduce a soluzioni eguali, per enti molto diversi. Il nuovo, fondato sul rapporto spesa di personale/entrate, invece, più correttamente, tratta in modo diverso situazioni diverse.
Infine, non persuade nemmeno l’assunto finale dell’articolo, ove si esemplifica un effetto considerato “paradossale” per l’ente virtuoso.
Sostiene l’Autore: “Ipotizziamo un comune che porti in dote una capacità residua di 90.000 euro. Immaginiamo anche che l'incremento reso possibile dal decreto, entro la soglia più bassa, sia pari a 50.000 euro. Quale somma potrà l'ente destinare a nuove assunzioni? Risposta: 50.000 euro, perché diversamente supererebbe la soglia! Cioè molto meno dei 90.000 euro che invece avrebbe potuto spendere con la normativa precedente, a dispetto della «crescita»”.
L’esempio non funziona semplicemente perché la possibilità di maggiore spesa di assunzione non è dei 50.000 euro esemplificati. L’ente, infatti, può assumere, almeno:
1. entro eventuali uscite da mobilità;
2. coprendo tutte le uscite per pensionamento (evidentemente nel tetto complessivo della spesa risparmiata);
3. utilizzando eventuali ulteriori economie nella gestione del personale (tra riduzione di articoli 110 e 90 o di lavori flessibili vari);
4. impiegando, in più, i 50.000 euro ulteriori;
5. ampliando le entrate, così da avere ancor più spazio di incremento della spesa di personale.
Le lamentazioni contro il nuovo sistema appaiono per lo più frutto della naturale avversione verso cambiamenti che rompono abitudini e mettono in evidenza che la gestione non è poi così virtuosa come la si pensa.
Nulla vieta che si rimettano in discussione i valori soglia. La scelta, tuttavia, di permettere assunzioni in relazione alla capacità di sostenerne la spesa appare non solo corretta, ma inevitabile.
23 gennaio 2020
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