Approfondimento di Mario Petrulli

La gratuità del permesso di costruire per la ricostruzione post-sismica: i paletti della giurisprudenza

Servizi Comunali Oneri concessori
di Petrulli Mario
08 Gennaio 2020

Approfondimento di Mario Petrulli                                                                                                  

La gratuità del permesso di costruire per la ricostruzione post-sismica: i paletti della giurisprudenza

Mario Petrulli

 

Ai sensi di quanto previsto dall’art. 17 comma 3 lett. d) del Testo Unico Edilizia[1], il contributo di costruzione non è dovuto “per gli interventi da realizzare in attuazione di norme o di provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità” (disposizione solitamente riprodotta nella legislazione regionale). La ratio della norma si fonda su evidenti ragioni solidarietà sociale, visto che sarebbe eccessivo richiedere al soggetto che ha subito una distruzione anche il pagamento del contributo per la ricostruzione. La disposizione citata trova applicazione, ad esempio, nel caso, purtroppo non infrequente in Italia, della ricostruzione di un immobile dopo un evento sismico, qualificabile come ipotesi di pubblica calamità[2]. Si tratta di un’ipotesi di esonero che è stata oggetto di diversi interventi da parte della giurisprudenza amministrativa, che hanno contribuito a delineare il corretto ambito di operatività.

L’ufficio tecnico, nel valutare le istanze di rilascio del permesso di costruire per la ricostruzione, deve porre la massima attenzione, in ossequio al principio generale, espresso in numerose occasioni[3], secondo cui, in materia di edilizia, il pagamento degli oneri concessori è la regola, con conseguente interpretazione restrittiva delle deroghe previste ex lege.

Il primo elemento da verificare è la presenza di nesso causale rigoroso ed esclusivo tra l’attività edilizia di ricostruzione ed l’evento sismico verificatosi[4], nel senso che “le opere da realizzarsi devono trovare giustificazione nell'azione rovinosa del terremoto”: conseguentemente, l’esonero non opera nel caso di ricostruzione dell’immobile danneggiato dal sisma con volumi maggiori di quello demolito[5] o con alterazione della superficie o della consistenza[6], in quanto “ha in sé un nesso causale di collegamento tra evento calamitoso ed intervento da attuare, poiché è chiaro che i danni provenienti da calamità o da danni bellici comprendono la necessità del ripristino dell’esistente, ripristino che non può comportare oneri di urbanizzazione in quanto reviviscenza di quanto anteriormente esistente e quindi non connesso alla realizzazione di nuove opere di urbanizzazione[7].

Il secondo elemento di attenzione riguarda la presenza di una modifica dell’originaria destinazione d’uso nell’attività ricostruttiva: in tal caso, secondo la giurisprudenza[8], l’esonero non opera.

Il terzo elemento di attenzione riguarda la possibilità che il progetto di ricostruzione preveda modifiche necessarie per adeguare l’edificio ricostruendo alle normative antisismiche: ebbene, tali modifiche devono essere considerate pienamente ammissibili, anche laddove comportino un quid novi all’originario edificio[9].

Un caso particolare nel quale l’esonero de quo è stato comunque riconosciuto dalla giurisprudenza[10] è la ricostruzione in sostituzione di un edificio espropriato e distrutto per realizzare un'opera pubblica: si tratta di una “interpretazione estensiva della norma che prevede l’esenzione in caso di ricostruzione di immobili distrutti in occasione di calamità, interpretazione coerente con la ratio e i presupposti dell’esenzione stessa, atteso che la posizione del proprietario di un edificio espropriato e distrutto per realizzare un’opera pubblica è sovrapponibile a quella di chi ha subito la distruzione del proprio edificio a causa di una calamità, nella misura in cui […] intenda ricostruire l’edificio demolito per un volume non maggiore del precedente e nel territorio dello stesso Comune[11].

Infine, ulteriore elemento di possibile dubbio riguarda l’applicabilità dell’esonero de quo alla ricostruzione post-sismica di edifici ed opere di natura non residenziale, come nel caso di fabbriche, capannoni, magazzini e simili: ebbene, tenuto conto della ratio dell’esonero, non vi sono motivi per negare tale applicabilità anche nelle suddette ipotesi[12].

21 dicembre 2019

 

[1] DPR n. 380/2001.

[2] Una “pubblica calamità”, secondo il Consiglio di Stato (cfr. sez. IV, sent. 30 maggio 2017, n. 2567) è da intendersi come un evento imprevisto e dannoso che, per caratteristiche, estensione, potenzialità offensiva sia tale da colpire e/o mettere in pericolo non solo una o più persone o beni determinati, bensì una intera ed indistinta collettività di persone ed una pluralità non definibile di beni, pubblici o privati. Ciò che caratterizza, dunque, il carattere “pubblico” della calamità e la differenzia da altri eventi dannosi, pur gravi, è la riferibilità dell’evento (in termini di danno e di pericolo) a una comunità, ovvero ad una pluralità non definibile di persone e cose, laddove, negli altri casi, l’evento colpisce (ed è dunque circoscritto) a singoli, specifici soggetti o beni e, come tale, è affrontabile con ordinarie misure di intervento. Se, dunque, l’evento deve caratterizzarsi per straordinarietà, imprevedibilità e una portata tale da essere “anche solo potenzialmente pericoloso per la collettività”, ciò non è, tuttavia, sufficiente a qualificarlo quale “calamità pubblica”, posto che deve comunque trattarsi di un evento non afferente a beni determinati e non affrontabile e risolvibile con ordinari strumenti di intervento, sia sul piano concreto che su quello degli atti amministrativi.

[3] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 7 giugno 2018, n. 3422, secondo cui “La giurisprudenza di questo Consiglio, sia in riferimento alla normativa pregressa […] che a quella attuale, è granitica nel ritenere che il pagamento degli oneri concessori è la regola, con conseguente interpretazione restrittiva delle deroghe […]”.

[4] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 2 febbraio 2017, n. 450.

[5] TAR Campania, Napoli, sez. VIII, sent. 9 dicembre 2019, n. 5763: nel caso specifico, l’intervento di ricostruzione presentava una volumetria di mq. 348,57, con una eccedenza di mq. 268,57 rispetto alla volumetria precedentemente esistente, pari a mq. 80.

[6]L’art. 9, lett. g), L. n. 10 del 1977, nel disporre che il contributo di cui all’art. 3 non è dovuto per le opere da realizzare in attuazione di norme o provvedimenti emanati a seguito di pubbliche calamità, non opere tutte le volte in cui i lavori, pur attenendo alla riparazione dell’immobile, ne alterino consistenza, volume e superficie rispetto alla situazione pregressa: invero non può dirsi sussistente il nesso causale, atteso che l’evento calamitoso configura unicamente l’occasione per la realizzazione di opere, che sono in sé indispensabili per l’intervento di riattazione e determinano la creazione di realtà edilizie diverse rispetto al preesistente”: TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 10 maggio 2007, n. 543, in Foro amm. T.A.R., 2007, 5, 1773.

[7] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 16 aprile 2013, n. 2104.

[8] Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 16 aprile 2013, n. 2104: nel caso specifico, i giudici hanno escluso l’esonero per il cambio di destinazione d’uso da magazzino ad abitazione.

[9] Cfr. nota 5: secondo TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 10 maggio 2007, n. 543, devono ritenersi ammissibili gli interventi integrativi indispensabili.

[10] Consiglio di Stato, sez. V, sent. 23 gennaio 2004, n. 174.

[11] TAR Lombardia, Milano, sez. IV, sent. 26 luglio 2018, n. 1826.

[12] In tal senso cfr. Testo Unico dell’Edilizia, a cura di M.A. Sandulli, Giuffrè Editore, II ed., 2008, pag. 249.

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