Approfondimento di Enrica Daniela Lo Piccolo

La qualificazione del servizio (pubblico locale) di ristorazione scolastica.

Servizi Comunali Refezione scolastica
di Lo Piccolo Enrica Daniela
05 Novembre 2019

Approfondimento di Enrica Daniela Lo Piccolo                                                                                            

La qualificazione del servizio (pubblico locale) di ristorazione scolastica.

 

Enrica Daniela Lo Piccolo

 

1. I servizi di ristorazione scolastica come servizi pubblici locali.

 

Il quadro normativo desumibile dall’art. 112 del d.lgs. n. 267/2000 comporta per l’Ente Locale che intenda definire un modello gestionale specifico la preliminare la formalizzazione della scelta attraverso un provvedimento di qualificazione del servizio pubblico locale.

I servizi di ristorazione collettiva, prevalentemente destinati a soddisfare esigenze per la refezione scolastica, si caratterizzano come attività rispondenti a bisogni di fasce importanti e rilevanti della comunità locale.

In termini sostanziali essi possono essere configurati come servizi pubblici locali, peraltro ricondotti al novero dei “servizi a domanda individuale”, sulla base della classificazione dettata dal d.m. 31 dicembre 1983 (il quale fa riferimento alle mense, comprese quelle ad uso scolastico).

Rispetto a tali elementi configurativi generali, è intervenuta nell’arco degli ultimi anni una rilevante giurisprudenza che ha permesso di individuare una serie di elementi, indicatori della qualificazione sostanziale del servizio di ristorazione scolastica.

 

2. La valenza sociale del servizio di ristorazione scolastica.

 

In ordine alla finalizzazione del servizio di ristorazione scolastica un primo elemento ricostruttivo è rinvenibile nella pronunzia del Tar Campania, Napoli, Sez. I, tradotta nella sentenza n. 4203 del 30 aprile 2003 nella quale si afferma che ai fini della individuazione della disciplina applicabile (nel caso specifico, per l’affidamento diretto del servizio a società partecipata), è preliminare distinguere i servizi di “rilevanza industriale” da quelli “privi di rilevanza industriale”.

Si tratta della definizione qualificatoria al tempo adottata in base alla normativa allora vigente, sostituita da quella inerente i servizi pubblici locali con rilevanza economica o privi di tale caratteristica, più coerente con l’ordinamento comunitario e alla quale afferisce anche l’art. 4 della legge n. 148/2011.

L'analisi va incentrata sulla definizione dell'area dei servizi di natura sociale e rispetto a tale profilo il Tar campano ha deputato che tale area coincide con i servizi di interesse generale le cui funzioni sono principalmente solidaristiche (mense, asili nido, biblioteche, beneficenza pubblica, assistenza sanitaria volontaria, ecc.), consistenti, secondo la definizione datane dall'articolo 128 comma 2 del d.lgs. n. 112/1998, in quelle "attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia".

Tali servizi, di solito, non realizzano profitti e non si prefiggono di svolgere attività per scopo di lucro (rectius, economica o industriale).

Gli elementi desumibili da questa prima giurisprudenza configurativa permettono quindi di:

a) collocare le attività di ristorazione - refezione nell’ambito della categoria dei servizi pubblici locali non a rilevanza industriale;

b) connotare tali attività come “servizi di natura sociale”, a maggior ragione per le rilevanti associazioni degli stessi a servizi socio-assistenziali o socio-educativi o scolastici, nonché per i profili inerenti la tariffazione

Su questa linea si è innestata altra giurisprudenza, che ha confermato la linea interpretativa per cui il servizio di mensa offerto agli alunni delle scuole pubbliche non è un servizio industriale, non dando luogo ad alcun vantaggio economico per l’Amministrazione che lo assicura e non essendo svolto in situazione di competizione con altri operatori dello stesso settore (Consiglio di Stato, sezione V, sent. n. 272 del 3 febbraio 2005).

La gestione di un servizio di mensa scolastica non è infatti affatto paragonabile alla generica ristorazione collettiva e, tanto meno, alla semplice fornitura di generi alimentari o alla mera consegna di pasti all’esterno della struttura di distribuzione, in quanto tale «assimilazione è improponibile anche solo a voler considerare la fattura dei pasti, relativamente ai quali, per i bambini nell'età della crescita e dello sviluppo, occorre seguire particolari canoni dietetici e richiedono, quindi, anche nei casi in cui i pasti siano stati già prestabiliti sulla base delle prescrizioni di esperti dell'alimentazione dell'infanzia, una sperimentata e non un'improvvisata perizia di esecuzione (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza n. 5035 del 29 agosto 2006).

La gestione di una mensa per l'infanzia, inoltre, non si esaurisce nella sola attività materiale di distribuzione dei pasti, ma comprende, per i risvolti di ordine educativo e psicologico che implica la particolarità dei soggetti ai quali è destinata, anche un'attività di assistenza che, per quanto soggetta alla vigilanza e alla supervisione del personale docente scolastico, può essere espletata solo da personale qualificato e munito di specifiche ed adeguate conoscenze (Consiglio di Stato, sez. V, sent. n. 4237 del 6 agosto 2001).

 

3. La qualificazione del servizio di ristorazione scolastica: elementi per la sua configurazione come servizio privo di rilevanza economica.

 

Peraltro proprio il servizio di refezione scolastica è stato oggetto della più recente analisi giurisprudenziale sull’applicazione dei principi comunitari per la qualificazione delle attività in chiave di rilevanza economica o meno.

La qualificazione di un servizio pubblico locale secondo il parametro della rilevanza economica o meno non dipende infatti dalla sola capacità di produrre utili del modulo gestionale, ma dai vari elementi di sviluppo nel contesto.

Il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza n. 6529 del 10 settembre 2010  ha proposto una lettura innovativa delle linee-guida definite dall’ordinamento comunitario, prendendo in esame il caso di due comuni che avevano deciso di non esternalizzare più (mediante appalto) il servizio di refezione scolastica, ma di gestirlo in forma associata, mediante affidamento all’istituzione per i servizi alla persona di uno dei due enti.

L’impresa sino a quel momento appaltatrice delle attività di ristorazione aveva contestato tale modalità gestionale, sostenendo che il servizio aveva rilevanza economica, quindi doveva essere affidato con gara.

La sentenza evidenzia come, ai fini della distinzione tra servizi pubblici locali di rilevanza economica e servizi pubblici locali privi di tale rilevanza, non si può fare ricorso all’astratto criterio sostanzialistico del carattere remunerativo, o meno, della loro erogazione tramite attività d’impresa svolta nel mercato, la quale garantisca la remunerazione efficace del capitale, ossia la capacità di produrre utili.

Secondo il Consiglio di Stato, infatti, qualsiasi attività, anche quella istituzionalmente esercitata da enti pubblici e comunemente considerata priva di rilevanza economica (come i servizi, per lo più connotati da significativo rilievo socio-assistenziale, gestiti in funzione di mera copertura delle spese sostenute, anziché del perseguimento di profitto d’impresa) può essere svolta in forma imprenditoriale, purché vi sia un soggetto (in questi casi, un’istituzione pubblica) disposto a ricorrere agli operatori di mercato, ossia alle imprese, per procurarsi le relative prestazioni.

Per la qualificazione di un servizio pubblico in termini di rilevanza economica o meno non si può quindi fare riferimento semplicemente alla correlazione tra modello organizzativo e produzione di flussi economici remunerativi.

Pertanto, proprio a fronte della inidoneità di criteri distintivi di natura astratta e sostanzialistica a consentire l’esatta qualificazione della natura delle due macro-categorie di servizi pubblici, il Consiglio di Stato evidenzia come occorra far ricorso ad un criterio relativistico, che tenga conto delle peculiarità del caso concreto, quali la concreta struttura del servizio, le concrete modalità del suo espletamento, i suoi specifici connotati economico-organizzativi, la natura del soggetto chiamato ad espletarlo, la disciplina normativa del servizio.

Sulla base di tale criterio, analizzando il contesto di sviluppo del servizio possono essere rilevati numerosi elementi utili a qualificarlo come privo di rilevanza economica.

Un primo dato è desumibile la linee di sviluppo funzionali che facciano riferimento a norme che richiedono la copertura dei costi (per fasce deboli di utenza) con intervento del Comune e che determinino la gestione delle attività a costi contenuti per i fruitori, al di sotto dei valori di mercato e comunque inferiori a quelli ottenibili con esternalizzazione mediante appalto.

Ulteriore elemento è la rilevazione dell’inidoneità o inadeguatezza del ricorso agli strumenti di mercato per far fronte alle esigenze del servizio, quando sia appurata la tendenziale inesistenza, nel quadro territoriale di riferimento, delle condizioni di un efficace e utile ricorso a operatori economici per l’assolvimento del servizio.

La sentenza del Consiglio di Stato del 2010 rafforza le interpretazioni giurisprudenziali precedenti in ordine al riconoscimento della competenza esclusiva dell’ente titolare del servizio a determinare la qualificazione di un servizio pubblico locale come economicamente significativo o meno.

Nell’area dei servizi pubblici privi di rilevanza economica gli enti locali hanno ampia possibilità di intervento in ordine alla scelta del modello gestionale, individuabile tra strutture con chiara natura strumentale (istituzioni, aziende speciali), organismi in gradi di aggregare in partnership etiche altri soggetti pubblici e privati (associazioni e fondazioni) e moduli imprenditoriali, adattabili ad attività più complesse (società di capitali).

Tale complesso di elementi permette di evidenziare come il servizio di ristorazione scolastica sia qualificabile come servizio pubblico locale privo di rilevanza economica.

Tale qualificazione determina la non assoggettabilità alla disciplina dell’art. 4 della legge n. 148/2011, ma semplicemente ai principi dell’ordinamento comunitario (pota la traduzione degli stessi che dovrebbe darne, secondo la Corte Costituzionale, sentenza n. 272/2004, la legislazione regionale e la potestà regolamentare degli enti locali), potendo quindi essere affidato con moduli diversi, tra cui anche quello societario, non determinante di per sé la connotazione “redditiva” dell’attività.

3 novembre 2019

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