Approfondimento di Amedeo Di Filippo

Pasto da casa, patto tra Scuole e Comuni per garantire i diritti delle famiglie

Servizi Comunali Refezione scolastica
di Di Filippo Amedeo
20 Settembre 2019

Approfondimento di Amedeo Di Filippo                                                                                        

Pasto da casa, patto tra Scuole e Comuni per garantire i diritti delle famiglie

Amedeo Di Filippo

 

In un precedente intervento abbiamo contrappuntato la sentenza n. 20504 del 30 luglio con cui le sezioni unite della Cassazione hanno messo fine alla contesa che ha contrapposto le famiglie e il Comune di Torino circa la possibilità di riconoscere il diritto degli studenti di non fruire della mensa scolastica e portarsi il pasto da casa.

La Suprema Corte ha escluso che ci possa essere un diritto soggettivo perfetto all’autorefezione individuale, per diversi motivi: le istituzioni scolastiche sono del tutto libere di decidere di istituire il servizio di refezione scolastica; è incongruente sistemare gli alunni al di fuori del refettorio per consumare il “pasto in solitario” perché mina lo stesso obiettivo di fondo della refezione scolastica che è quello della socializzazione e della condivisione; l’obbligo per la scuola di garantire la presenza degli alunni nel refettorio col pasto portato da casa a fianco degli altri con pasto fornito dal servizio mensa comporta una impropria ingerenza dei privati nella gestione di un servizio del tutto volontario che non prevede la vigilanza del personale docente.

Si tratta dunque per la Cassazione non di un diritto di libertà ma di un diritto sociale, come tale condizionato dalle scelte organizzative della scuola, sulle quali le famiglie possono influire mediante gli ordinari strumenti di partecipazione al relativo procedimento amministrativo.

Il contrario avviso del giudice amministrativo

Sulla questione si è espressa la quinta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 5156 del 3 settembre 2018, nella quale ha messo in evidenza l’incompetenza assoluta del Comune nell’imporre prescrizioni ai dirigenti scolastici in ordine all’uso della struttura scolastica e alla gestione del servizio mensa. Nel merito, i giudici amministrativi hanno riconosciuto la libera scelta alimentare che, salvo non ricorrano dimostrate e proporzionali ragioni particolari di varia sicurezza o decoro, è per sua natura e in principio libera sia dentro che fuori casa e per questo può essere contenuta solo qualora sussistano dimostrate e proporzionali ragioni inerenti opposti interessi pubblici o generali.

Sulla scorta di questa posizione si è ora espresso il Tar Lazio che, con l’ordinanza n. 6011 del 13 settembre, ha accolto la sospensiva dei provvedimenti con cui un istituto scolastico ha negato l’accesso al refettorio di studenti con pasti di preparazione domestica, “avuto riguardo al precedente giurisprudenziale (Cons. Stato n. 5156/2018) che ha riconosciuto il diritto degli alunni di consumare presso il locale refettorio della scuola il cibo portato da casa nelle scuole nelle quali è istituto il servizio di refezione scolastica”.

Che fare?

Sulla questione dell’esistenza o meno di un diritto soggettivo perfetto delle famiglie si staglia dunque l’ennesimo contrasto tra magistratura amministrativa e quella di legittimità, la cui composizione dovrà a questo punto essere affrontata tramite un intervento legislativo ad hoc. La patata bollente resta però nelle mani delle scuole e dei tanti Comuni che gestiscono la refezione scolastica, che possono trovarsi di fronte alle richieste dei genitori di far fruire ai propri figli il pasto da casa piuttosto che il servizio mensa da essi organizzato. E questo perché la Cassazione ha certo negato un diritto soggettivo, ma non per questo ha vietato il pasto domestico a scuola, demandando così alle singole autonomie scolastiche, e per conseguenza agli enti gestori, l’accettazione delle eventuali richieste da parte delle famiglie.

Una risposta/proposta operativa arriva dal Comune di Torino, da cui tutto ha avuto origine, che nell’ambito della Conferenza delle autonomie scolastiche del 5 settembre scorso ha stilato un utile documento (in allegato) relativo alla collaborazione tra il Comune e le autonomie scolastiche cittadine sulla gestione dei pasti a scuola. Il documento parte dai principi base espressi dalle sezioni unite della Cassazione: il valore educativo del servizio mensa come parte integrante del progetto formativo del tempo pieno e del tempo prolungato; l’inquadramento giuridico dell’autorefezione a scuola come diritto sociale, condizionato e dipendente dalle scelte organizzative rimesse alle singole istituzioni scolastiche; l’autonomia della scuola nell’organizzare il servizio.

I soggetti coinvolti

La linea condivisa dalle scuole e dalla Città di Torino nell’applicazione della sentenza consiste nell’agire riconoscendo il ruolo dei soggetti coinvolti affinché il processo decisionale sia partecipato e condotto in un clima sereno e rivolto a non acuire eventuali conflitti:

  • le scuole operano le scelte riguardanti le modalità di gestione del servizio mensa, valutando se organizzare o meno la fruizione del pasto domestico in esito a un procedimento amministrativo che vede la partecipazione di tutte le componenti dell’istituzione scolastica;
  • il Comune promuovere il valore educativo della mensa e migliora la qualità della refezione scolastica (ruolo politico); rispetta l’autonomia delle istituzioni scolastiche e le indicazioni dell’amministrazione scolastica (ruolo istituzionale); si interfaccia con le dirigenze scolastiche e con gli altri soggetti istituzionali non per influenzare il processo, nell’ambito delle proprie competenze e nel rispetto degli obblighi stabiliti dalla ASL (ruolo amministrativo);
  • l’ASL ha il compito di controllare i refettori;
  • le famiglie partecipano al processo di definizione dell’offerta formativa e possono influire sulle scelte riguardanti le modalità di gestione del servizio mensa nelle apposite commissioni.

La sostenibilità

Interessante la parte del documento in cui vengono elencate le principali condizioni di sostenibilità dell’introduzione del pasto domestico a scuola. C’è innanzi tutto quella dell’offerta formativa, che consiste nella valutazione della congruenza della fruizione del pasto domestico con le esigenze correlate alla piena realizzazione degli obiettivi educativi del progetto formativo sottostante all’offerta di tempo pieno e prolungato. Quindi quella dell’utilizzo di risorse umane e finanziarie, posto che l’introduzione del pasto domestico deve avvenire senza oneri aggiuntivi di spesa o aggravio di risorse umane.

Vi è poi la sostenibilità della responsabilità contrattuale o da contatto sociale, che consiste nella valutazione dell’esigenza che la scuola, introducendo il pasto domestico, sia messa in condizioni di garantire un livello di vigilanza e attenzione da parte dei docenti, tale da poter controllare le fonti generatrici della responsabilità cui essa è esposta per i danni subiti dagli alunni.

Circa gli aspetti pratici della collaborazione scuola/Comune, il documento mette in evidenza come i refettori scolastici siano stati oggetto di variazione alla SCIA – con oneri a carico del Comune – che ha delimitato gli spazi per permettere l’introduzione del pasto domestico nel medesimo locale adibito al servizio di ristorazione scolastica, per cui refettori potranno continuare a essere utilizzati per entrambe le modalità di fruizione del pasto.

16 settembre 2019

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